Il mio miglior amico si trasferisce

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"Ma perché sei qui? Non eri ancora a New York?", gli chiesi.
"È una lunga storia. Te la racconterò più tardi."
"Perché?"
"È solo che voglio lasciare questa storia alla parte dove tu ti preoccupi troppo per me."
"Tuo nonno?"
Ci sedemmo su una panchina lì vicino. Una piccola parte di me aveva capito il perché Connor fosse venuto qui, suo nonno aveva una salute cagionevole da un po'. Era stato più o meno, tre anni fa, Connor doveva andare a esibirsi per lo spettacolo di musica per il quale si era tanto preparato. Ricordo ancora quanto fosse fiero di essersi esercitato al massimo, quanto era contento di seguire la sua passione.
Il nonno lo stava accompagnando al teatro dove facevano le audizioni per partecipare a questo concorso, dove prendevano i talenti in giro per il mondo che sognavano di vincere un premio dai cinquanta mila dollari. Connor voleva usarli per darli in beneficenza e comprare una casa nuova a suo nonno e a lui.
Quel giorno faceva freddo, le strade non erano tanto sicure per via del ghiaccio. Il destino voleva che un camion fosse scivolato sul ghiaccio, la macchina del nonno si era schiantato contro di esso.
"Non ce l'ha fatta. Se n'è andato quando ho deciso di raggiungerti. A New York non mi era rimasto più niente."
"Credevo che la terapia stesse funzionando."
"Un giorno hanno trasportato il nonno verso la sala operatoria, poi il respiratore che lo teneva in vita è stato staccato. Per una questione di denaro!", si era scaldato.
In fondo, non lo biasimavo. Da quando il nonno era andato in coma, abbiamo lavorato come volontari nelle case di riposo per vecchi, famiglie senza un tetto sulla testa, bambini abbandonati per la strada. Tre anni. Abbiamo sprecato tre anni della nostra vita per pagare l'aria che dovevano mantenerlo in vita, e invece era stato tutto inutile. Perché io me n'ero andata.
"Mi dispiace, è tutta colpa mia."
"È perché dovrebbe essere così?"
Feci fatica a trovare le parole giuste tra i singhiozzi.
"Se fossi rimasta, avremmo avuto ancora tempo per trovare il modo di svegliarlo. E tu non saresti qui. E se quello stupido camion, non avesse avuto la brillante idea di..."
"Kylie.", mi mise le mani sulle spalle. "Non è stata colpa tua. Quegli stupidi medici credono che, per contribuire al futuro dell'umanità, a volte bisogna lasciare morire il vecchio per lasciare spazio al nuovo. Il loro lavoro è salvare vite, non decidere del destino altrui come se fossero Dio."
Era bello che ci fosse qualcuno che mi confortasse, non volevo essere colpevole di un'altra tragedia di famiglia. Già mi ero presa la colpa per quanto era successo alla mamma quella sera in cui ha preso la voce (ero stata io a insistere, io le avevo detto di cantare), sapendo che mi faceva molto male. Non potevo, anzi non volevo, essere la causa della morte del nonno di Connor.
"Sei il mio miglior amico, ti ringrazio." Lo abbracciai per la seconda volta, mi era mancato davvero molto quando siamo partiti.
"Comunque, dove vivrai?"
"Sinceramente? Ho preso un piccolo appartamento vicino alla scuola."
"Stai scherzando?"
"Per niente."
Ero sorpresa. Mi sembrava soltanto ieri che era un timido e impacciato ragazzino di tredici anni, invece adesso era diventato grande. E sì, lo so che è un discorso da madri, ma io ci tengo a Connor.
"Ti va di vederlo?"
Risi. "No, scemo. Devo tornare a casa, o mio padre mi ammazza."
"Ok, ci vediamo domani?"
"Ci vediamo domani."

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