Samantha Castillo

389 47 27
                                    

Nel corso della mia vita, mi è stato detto spesso di essere una persona complicata.
Ma io non credo che sia così.
La verità è che mi considero una persona estremamente semplice.
Il mio atteggiamento e le persone con cui interagisco, dipendono strettamente dalle due parti in cui è divisa la maggior parte delle mie giornate: la prima parte è quella in cui agisco per dovere e la seconda quella in cui agisco per piacere.

Piacere a chi? O meglio, per il piacere di chi? Mio, suppongo. Ma immagino che neanche agli altri dispiacqua.
Quindi diciamo: per il mio piacere di piacere agli altri.
Sì, così ha più senso.

Il fatto è che io non piaccio alla gente così come sono.
Non mi sto compiangendo, questo è un semplice dato di fatto.
Inoltre, devo ammettere che almeno l'ottanta per cento della colpa spetta a me, dato che durante la prima fase della mia giornata, non mi curo affatto del giudizio altrui, nè ho alcun interesse nel piacere a chi mi sta intorno.

Sono convinta che la scuola esista per uno scopo: studiare.
La biblioteca ha un unico compito: permettere alla gente di leggere. E io amo leggere.
Essendo astigmatica, se non voglio sforzare i miei occhi e desidero che prima o poi il mio problema scompaia o almeno migliori, c'è solo una cosa che posso fare: indossare gli occhiali.
La Nutella è buona. Risultato: brufoli.

Non è tanto complicato.
Non è che un giorno mi sia messa su YouTube e abbia cercato un tutorial su come essere una secchiona, tanto dentro quanto fuori.
Certo, potrei indossare le lenti a contatto, mettermi il correttore per nascondere l'acne e comparmi un e-Book, così da non dover ficcare il naso dentro un libro ogni volta che voglio leggere qualcosa.
Ma perché dovrei farlo?
Solo per piacere agli altri?
Se è questa la motivazione, allora preferisco continuare così.
Non è una faccenda di orgoglio, ma semplicemente di logica.
Credo che si dovrebbe andare a scuola per imparare, non per migliorare il proprio status sociale e così mi limito ad agire di conseguenza.

Questo vale durante la prima parte della mia giornata.
Nella seconda, infatti, non si parla più di me. Non sono io a buttarmi sulla pista per ballare, a ridere sguaiatamente, a bere finchè non mi reggo più in piedi, a parlare e a piacere alla gente.
È Asuna Yuuki. È Sayaka Maizono. È Luka. È Saeko Busujima. È Kōko Kaga. È Chitoge Kirisaki. È Minene Uryuu. È... Insomma, non sono io.

Provo uno strano senso di euforia quando, presentandomi in un nuovo locale nei panni di una di loro, posso parlare, agire, essere loro.
La maggior parte delle persone che incontro, non essendo pratiche del mondo otaku, non capisce neanche che si tratta di una finzione.
Invece, quelle rare volte in cui capita che qualcuno riconosca il mio cosplay, decide semplicemente di stare al gioco.

Non è che io non mi piaccia o abbia dei problemi ad accettare il mio corpo. Semplicemente trovo monotono, di una noia mortale, vestire tutto il tempo gli stessi panni. Ogni tanto sento il bisogno di cambiare pelle, come un serpente, e indossare quella di qualcun'altro. Possibilmente qualcuno che abbia un'esistenza più interessante della mia.
Fingermi un'altra persona e uscire a divertirmi senza il bisogno di pensare alle conseguenze.
Non mi presento mai due volte nello stesso locale con lo stesso cosplay.
Come una falena, la mia esistenza in quel locale e in quelle sembianze è limitata a quell'unica notte. Posso fare tutto ciò che voglio, nessuno saprà che si trattava di me e, quando il mattino dopo mi sveglierò nel mio letto, con addosso la mia pelle, avrò la certezza che nulla di tutto ciò che è accaduto la notte prima avrà alcuna ripercussione sulla mia vita.
Basta togliersi la parrucca, pulirsi il trucco e sfilarsi il vestito.
Ecco fatto.
Ben tornata me.

Le due parti in cui si divide la mia giornata sono sempre tenute separate molto accuratamente.
Non posso permettere che uno dei miei compagni di scuola mi riconosca mentre sono in cosplay e, viceversa, non posso permettere che la sera, mentre sono in un locale, qualcuno scopra la mia identità o anche solo quale sia il mio vero nome (questo è il motivo principale per cui mi reco sempre in una città vicina per fare queste cose, mai nella mia).
Il modo in cui mi comporto e le persone con cui interagisco nel corso della prima parte della giornata, non hanno nulla a che vedere con la seconda e viceversa.

StereotypeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora