20."Pochi -amano davvero"

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-Che ore sono..?-

Una luce calda mi invade il viso, facendomi aprire gli occhi, infastidito da quel bagliore accecante. Alzando lievemente il capo, mi guardo attorno. Sono disteso sul letto di Murdoc, con ancora le lenzuola a dosso che coprono il mio corpo nudo. Voltandomi verso la sagoma ancora addormentata del più grande, che sta sdraiato su di un fianco accanto a me, mi torna in mente cosa è successo la scorsa notte. A volte il troppo alcol mi annebbia la mente, facendomi dimenticare la maggior parte delle cose che succedono intorno a me. Ma questa volta la mia mente è lucida, niente dubbi e perplessità. Ieri notte, io e lui lo abbiamo fatto.
Con fare schivo, mi volto verso la finestra della stanza, cercando di riportare alla normalità la mia testa, ma non c'è niente da fare: le domande a me stesso, sono troppe.

-Come diamine ti è saltato in mente!?-

Con respiro affannoso, mi alzo dal letto ma, appena le coperte abbandonano la mia pelle, una volta dritto in piedi, sento un dolore lancinante partire dal mio didietro, arrivare fino a metà busto. Stringendo i denti, mi appoggio alla maniglia della finestra, cercando di non emettere alcun suono, ma il dolore è troppo.
Dopo aver preso un grande respiro, cerco di incamminarmi verso i miei vestiti abbandonati a se stessi sul pavimento. Rivestendomi velocemente, arrivo alla maniglia della porta, riuscendo ad aprirla senza fare il men che minimo rumore.
Appena esco dalla stanza, fuggo in bagno, cercando sempre di non svegliare nessuno.

Provo una sensazione sgradevole, quasi come se avessi fatto qualcosa di male, sia per me che per gli altri che mi circondano. No, non è il senso di colpa per essere scappato di casa e per aver abbandonato i miei, no. Ancora peggio. Ho la nausea, sento che potrei vomitare da un momento all'altro, ma cerco di trattenermi. Il didietro mi fa un male cane, sulla pelle ho numerosi segni violacei, forse morsi oppure succhiotti, sono troppi da contare. Alzo gli occhi, la mia immagine esile si rispecchia sulla superficie luccicante dello specchio che c'è in bagno. "Questo non sono io..." penso fra me e me.

Ora ho voglia di essere consolato, ho bisogno di un abbraccio o qualcosa del genere, ho voglia di essere... rassicurato.
Ad un tratto, sento dei passi pesanti avvicinarsi al bagno e così, la mia attenzione si sposta su quel rumore assordante che inizia ad invadere i miei timpani.

*TOC TOC*

《Ehy, Stu... devo pisc-GNAAAAUUUH... devo pisciare...》una voce assonnata e roca, mi chiede di aprire la porta. Avvicinandomi all'uscita, stringendo i denti, giro la manopola consumata e arrugginita della porta altrettanto mal messa. Davanti a me si presenta la figura di Murdoc, rigorosamente nudo che, stropicciandosi gli occhi dal sonno, scivola sotto ai miei occhi come se nulla fosse, per andare verso il gabinetto.
《Allora... ti è piaciuto?》appena il ragazzo ha finito di pisciare, tirando lo sciacquone, si avvicina a me sussurrandomi all'orecchio quelle parole. Un brivido di paura mi oltrepassa tutta la schiena, fino ad arrivare al mio didietro dolorante. 《S-si... voglio dire, sì certo che mi è piaciuto... ah-ah...》rispondo in modo nervoso. Murdoc si sposta dal mio orecchio per osservarmi da capo a piedi, con occhi rossi e stanchi. 《Ti fa male il...?》con questa sua domanda sembra quasi che gli importi della mia salute, e questo mi rasserena parecchio. 《Un po'...》rispondo arrossendo. 《Mh... beh, ci dovrai fare l'abitudine... torno a dormire, vieni anche tu?》mi chiede il ragazzo, uscendo dalla stanza. Io lo guardo per qualche secondo ma pensandoci meglio, preferisco restare un po' da solo a ripensare su quello che è successo. 《Oh, no. Ormai il sonno mi è passato, tu torna a dormire, ci... vediamo dopo...》dico, scivolando sotto gli occhi del più grande, andando verso la sala da pranzo dell'edificio. Murdoc mi volta le spalle, tornando nella sua camera, trascinandosi le gambe come se le ossa non fossero comprese nei suoi muscoli.

Così, i nostri corpi si separano. Appena arrivo nella grande sala della casa, cerco un posto pulito per sedermi e riflettere. La stanza è piena di bottiglie vuote, giornalini vietati ai minori, cicche di sigarette, mutande e calzini sporchi e altra immondizia. Cercando di galleggiare su quell'oceano di spazzatura, un mio piedi si imbatte su di un oggetto duro e pesante, sembra quasi un 《Libro..?》. Trovare un libro di letteratura su di quel pavimento sudicio, ma soprattutto in una casa come questa, dove l'ignoranza è padrona, mi fa uno strano effetto. Chinandomi lentamente, prendo fra le mani il libro in questione, un mattone pesante che ha intralciato il mio cammino verso il divano rattoppato e puzzolente della sala. La copertina è macchiata di un liquido ambrato appiccicoso, molto probabilmente rum. Le pagine sono integre ma il titolo sulla copertina è quasi illeggibile. Sfogliando alcune pagine, leggo qualche parola e noto che sono scritte in corsivo, sono davvero piccole ma perfettamente allineate fra loro. Poi, m'impatto in una poesia non molto lunga, che occupa una pagina intera:


Talvolta con il Cuore
Raramente con l'anima
Ancora meno con la forza
Pochi – amano davvero

Emily Dickinson

Una poesia d'amore. Chi avrebbe mai potuto leggere una cosa del genere dentro questa casa? Non penso possa essere Hannibal, e men che meno quel suo lecchino che lo segue anche quando va in bagno, no. È lui. Murdoc. Alla fine, quel carattere duro e impassibile lo usava solo per coprire quella parte di sé sensibile, dolce, che desidera soltanto di essere amato da qualcuno. Una corazza dura da oltrepassare che solamente in pochi ci sono riusciti, e in quella percentuale minuscola di individui così coraggiosi da provarci, ci sono finito anch'io. Come fece Artù con la spada nella roccia, io sono riuscito a rompere quella corazza dura e resistente che Murdoc indossa la maggior parte delle volte, conquistandone il suo cuore.

Call Me By Your Name ~Studoc Fanfiction// GorillazDove le storie prendono vita. Scoprilo ora