24. Il 29 dicembre

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Ci sono i bambini che aspettano il Natale, altri che non vedono l'ora che arrivino le vacanze estive, altri invece che non vedono l'ora che arrivi il giorno del loro compleanno per potersi accingere ai parenti solo per ricevere doni inimmaginabili. Io invece, ho aspettato il 29 dicembre come se fosse il giorno del giudizio; quasi come se in quel giorno venisse deciso il mio destino e non quello di Murdoc.
Mia madre mi ha vestito con giacca e cravatta, sembro uno di quegli attori che hanno girato il film "The Wolf of Wall Street", insieme a Di Caprio.

-Se Murdoc fosse qui, mi avrebbe detto che sto una meraviglia, per poi baciarmi.-

<<Mamma, ti prego, accompagnami solo tu. Non voglio anche papà oggi.>> dico arrivando davanti allo specchio della mia stanza, cercando di apprezzare quel vestito così stretto e scomodo da impedirmi qualsiasi mossa io voglia fare. Mia madre non risponde ma intuisco comunque dalle sue gesta che sicuramente lo farà. <<Stuart, ti voglio bene. Ricordatelo.>> poi, chinandosi ai miei piedi per intercettare i miei occhi, mi ricorda del suo affetto. Quell'affetto materno che mi ha sempre aiutato nei periodi più brutti che ci sono stati nel mio passato. <<Anche io mamma.>> poi, in un abbraccio sincero, i nostri corpi si uniscono. Quel semplice gesto mi da in qualche modo, la forza di andare avanti e non potrei chiedere di meglio.

Alle 11 del mattino arriviamo in tribunale. Entriamo nella sala e ci mettiamo a sedere sulle panche di legno scuro che ci sono nella stanza. Tra la folla, intravedo il fratello di Murdoc, insieme a quel suo lecca-piedi di amico che si porta sempre appresso. Forse anche lui è qui per testimoniare.
Dopo una decina di minuti, quando il tribunale ormai si è riempito di persone, il giudice decide di entrare in sala, andandosi a sedere sulla grande scrivania di legno alta un metro da terra per poter giudicare le persone in modo perfido e crudele, dall'alto verso il basso. Poi, i portoni della stanza si aprono in un colpo, facendo girare tutta la folla verso l'uscio per il rumore cupo che si è liberato. Fra due poliziotti alti quasi due metri, c'è lui: il mio amato. Cammina lentamente, tenuto dalle braccia da quei due poliziotti. Lo fisso mentre passa davanti a tutti noi con sguardo basso, impassibile ma impaurito allo stesso tempo. Appena arriva davanti al giudice, i poliziotti lo fanno sedere di fianco al suo avvocato. Dall'altra parte dove c'è l'avvocato degli accusatori, c'è un uomo in giacca e cravatta e lui: mio padre. Appena lo noto, mi giro verso mia madre con sguardo confuso. <<Perchè papà è seduto lì?>> chiedo ingenuamente tenendo un tono di voce basso. Mia madre senza guardarmi, risponde che il processo è stato voluto da mio padre. Incredulo di quello che ho appena sentito, ritorno con gli occhi sulla figura di Murdoc.
Il giudice dando un colpo di martelletto, fa iniziare il processo. Fanno giurare ai due presenti -cioè mio padre e Murdoc- di dire solamente la verità, nient'altro che la verità. Dopo il loro giuramento, l'avvocato di mio padre inizia a parlare. Fanno salire l'accusato -Murdoc- sulla poltrona vicino al giudice. Murdoc espone la sua versione, quella giusta, ma il giudice ci crede poco. Dopo poco, fanno cambio con mio padre. Inizia a parlare della mia vita, senza nemmeno guardarmi. Dice che sono stato infatuato da Murdoc, abusato e picchiato dal più grande. Tutto questo non è affatto vero e mi salgono i nervi a fiore di pelle non appena sento tutte quelle falsità.
<<Facciamo entrare la vittima.>> ad un tratto, il mio nome non esiste più. Etichettato come se fossi una vittima di un abuso o qualcos'altro del genere, vengo invitato ad andarmi a sedere sulla poltrona di fianco al giudice. Così faccio. Mi alzo, senza guardare mia madre in faccia, ormai deluso dal suo comportamento nei miei confronti. Esco dalla fila della panca di legno, oltrepassando qualche gamba. Arrivo nel corridoio della sala e, camminando con sguardo infuriato e serio, arrivo davanti al giudice. <<Signorino Pot, lei dichiara di dire tutta la verità e nient'altro che la verità?>> mi chiede il magistrato. Io annuisco dicendo di voler dire solamente la verità, in mezzo a quest'ammasso di falsità che le sue orecchie hanno sentito fino ad ora. Mi sistemo sulla poltrona, porto il microfono alla bocca e mi preparo a rispondere. <<Sigorino Pot, posso chiamarla Stuart?>> l'avvocato di mio padre inizia a parlare.
<<Ci racconti come è andata realmente quella sera.>>
<<Ero stufo. Volevo andare via da quel mondo di cristallo e finzione che i miei avevano costruito per me. Così ho deciso di andarmene, di fuggire da casa. L'unico che mi ha capito è stato Murdoc e io voglio stare con lui per tutta la mia vita. Sì, papà. È così: io sono omosessuale.>> appena pronuncio quella parola, tra la folla che mi sta ascoltando, si innalza un sibilo fastidioso. Spostando gli occhi, li poso su Murdoc. Vedo che mi sta guardando con sguardo incredulo ma compiaciuto allo stesso tempo.

<<In questa cittadina è strano avere un omosessuale fra la gente, ma io sono fatto così e non voglio cambiare, nemmeno per i miei genitori. Murdoc è stato gentile ad ospitarmi in casa sua, e ringrazio anche suo fratello che gli ha dato il permesso. Qui nessuno è stato abusato o picchiato, Murdoc non mi ha mai torto un capello.>> appena finisco di parlare, l'avvocato di mio padre mi fa altre domande. <<Allora se è andata veramente così, ci spieghi per quale motivo sul suo volto ci sono dei chiari segni di colluttazione.>> <<Certo, è stato mio padre a picchiarmi.>> finisco di parlare e inizio a fissare mio padre. L'uomo sembra essere nel panico totale. Il giudice chiede ordine in aula, la folla non riesce a credere alle loro orecchie.
<<Signor Pot, è vero quello che suo figlio sta dicendo?>> chiede a mio padre, il giudice, abbassandosi gli occhiali dalla montatura dorata, sulla punta del naso. <<N-no...>>
Incredibile: riesce a mentire anche dopo aver giurato lealtà alla nostra costituzione e a Dio.
<<Obiezione!>> l'avvocato di Murdoc ribatte. <<Qui ho la fedina penale del signor Pot. Viene scritto che il signore in questione è stato fermato dalla polizia di Crowley proprio per maltrattamenti domestici sul figlio.>> l'avvocato scende dalla sedia, dopo aver ricevuto il consenso dal giudice. Sbatte in modo svogliato sulla cattedra, la cartella che include i documenti di cui stava parlando, proprio davanti agli occhi di mio padre. Spostando gli occhi sul viso dell'avvocato di mio padre, noto che non ha una bella cera. Finalmente, i buoni riescono a distruggere i cattivi.
Il giudice sbatte altre tre volte il martelletto, dichiarando di aver già sentito abbastanza e che la giuria deve prendere una decisione. Così, tutti quelli dentro la sala, vengono fatti uscire, mentre la giuria si rinchiude dentro la sala per decidere il destino di Murdoc, o meglio, il destino di entrambi.

Call Me By Your Name ~Studoc Fanfiction// GorillazDove le storie prendono vita. Scoprilo ora