Capitolo 27 [Nico]

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Amo già Spugna, ha degli occhi splendidi ed è un cucciolo pieno di vita e voglia di giocare.

Abbiamo fatto una bella camminata per sfogarci, abbiamo corso al parco, anche se dopo un po' ho dovuto prenderlo in braccio, perché stanco. È ancora piccolo.

Con lui ho avuto il momento per pensare a quanto stia male ogni volta che litigo con Bea. Sono convinto che i cani capiscano, tutti gli animali. Hanno dei sentimenti come noi e Spugna con quei occhi è riuscito a trasmettermi il bene che già mi vuole.

Si sono fatte le sei del pomeriggio ormai, così decido di riportare Spugna da Bea.

L'incazzatura mi è passata abbastanza. Non importa cosa è successo. Lascio perdere, anche perché domani dobbiamo partire per la Puglia.

Arriviamo davanti il portone di Bea e ne approfitto della copia di chiavi che ho. Apro e vedo Bea con Alessio sul divano, che ridono fino a quando non si accorgono della mia presenza.
Meno male stavano studiando.

A primo impatto non dico nulla, metto giù Spugna e saluto entrambi, senza troppo entusiasmo.

«Me ne vado, ho da fare» dice Alessio alzandosi.
Almeno ha capito che deve andarsene.
Mi tolgo il giubbino, mentre Bea lo saluta, dicendogli qualcosa che non riesco a capire.
Ecco che se ne va, finalmente.
«Eravate così concentrati a studiare» dico ironicamente.
«Abbiamo finito da poco...» si gratta la testa.
«Ci vediamo domani mattina» dico io «non fare tardi mi raccomando»
Mi avvicino alla porta per andarmene, ma mi ferma afferrandomi un polso.

«Scusami Nico...» mi abbraccia.
Da una parte vorrei prenderla a schiaffi, dall'altra non riesco. Ho comunque lasciato stare questa faccenda, ma solo perché domani dobbiamo partire e per lei è importante andare.

Sono contento che abbia capito il suo errore, non tanto che si sia scusata.
Quindi non le dico niente, la bacio, lasciando i miei pensieri altrove.

«Non farlo più, per favore» le sussurrò all'orecchio.
«Ok, ma tu rimani qui» dice.
«Come se volessi andarmene davvero»
Mi sorride.
«Come sei complicata, Wendy» dico sedendomi sul divano.
«Non illuderti, lo sei anche tu» dice lei.

Spugna mi raggiunge, così lo prendo sotto le braccia e lo alzo dicendo: «Oh Spugna, come si fa con queste donne così complicate?».

Eccola, sorride ancora. Non voglio altro, mi basta vederla così, per essere felice.

Mi raggiunge sul divano, a riprendersi Spugna.
«Te lo sei portato via per ore, quindi credo sia giusto lo tenga io adesso» dice facendomi la linguaccia.
«Non hai torto» dico io.

Ci coccoliamo in tre sul divano.
Spugna non smette di mordicchiare e giocare con ogni minima cosa. Dovremo comprargli qualche gioco.

Bea va a prendere una di quelle palline da tennis, lanciandola per farla prendere a Spugna. Fa ridere per quanto è paffuto. A volte riesce a malapena a reggersi in piedi, oppure quando corre si inciampa.

Decidiamo poi, di guardarci una commedia in televisione, ma finiamo poi, per addormentarci tutti.

Vengo svegliato poco dopo da Spugna, che si arrampica su di me per leccarmi la faccia e piagnucolare. Ha sicuramente fame.

Bea sta dormendo, comoda sulla mia gamba. Le appoggio la testa piano, su un cuscino, senza svegliarla.

Controllo il telefono, sono le otto e mezza ed è ora di cena. Non intendo svegliarla, ma non ho voglia di cucinare, anche perché non sono così bravo ancora. Prima o poi imparerò.

Riempio le ciotole di Spugna, una con acqua e una con le crocchette, poi chiamo la mia pizzeria di fiducia, ordinando, una pizza con patatine fritte e würstel e un'altra funghi e prosciutto. Poco pesanti, insomma.

Bea si sveglia con il campanello che il ragazzo della consegna fa suonare:
«Guarda stasera che si mangia!» le dico mostrando i due cartoni di pizza.

Ha un sonno pazzesco.
«Non ho le forze per masticare» dice.
Il che scoppio a ridere, non avevo mai sentito una frase del genere.
«Amore, dimmi che stai scherzando» dico senza riuscire a smettere di ridere.
«Purtroppo no».
Le porto la pizza sul divano, così la mangio insieme a lei, anche se a malapena mangia due pezzi, ma non c'è problema, a finirla ci penso io.

Prepariamo le valigie con quelle poche cose che dobbiamo portare per due giorni. Metto dentro un pantalone, una maglia, una felpa, l'intimo, calzini e una camicia nel caso ci venga in mente di andare a cena.

Poi la metto a letto, aspettando che si addormenti. Per la stanchezza che ha bastano neanche cinque minuti.
Ovviamente a me il sonno non arriva, ma decido di restare comunque qui con lei.

Sembra un angelo, quando dorme. Ho da scrivere qualcosa. Prendo una penna e un pezzo di carta e torno da lei.

Inizio a scrivere:
Ed io che invece vorrei solo averti più vicino
Cascare nei tuoi occhi e poi vedere se cammino
Che sono grandi come i dubbi che mi fanno male
Ma sono belli come il sole dopo un temporale
E poi ti penserò...

Mi manca il pianoforte. Proverei queste parole sopra delle note.

Ora però, devo andare a dormire, altrimenti domani non avrò le forze per viaggiare. Mi costringo, mettendomi sotto le coperte abbracciata a Bea.

Mi basta toccarle per un po' i capelli per chiudere gli occhi e poter dormire tranquillo.

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NUOVO CAPITOLO PER VOI. 🗝️💓

Niccolò che non scrive canzoni invece di dormire, non è Niccolò.

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La sua Wendy | Ultimo | #wattys2019Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora