16 - Metamorphosis

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Quando Randy aprì gli occhi, vide solo il naso rosa di Raven che si muoveva curioso per annusargli la faccia. La testa ancora posata sul bracciolo del divano, mugolò. Per un attimo si chiese dove fosse, perché il caldo non lo stesse divorando e perché i muscoli delle spalle gli facessero tanto male; poi, però, realizzò che quello era il gatto di Rowan e che lui non si era mosso di lì.

Allungò una mano per scostare il Kohona, lo sentì miagolare appena, contrariato, e poi seguì il suo balzo in terra. Con la coda dell'occhio, lo vide camminare verso il televisore spento per poi sedersi lì, sotto allo sbuffo freddo dell'aria condizionata.

Allora si mise a sedere, si stropicciò gli occhi e si passò le dita tra i capelli. Un mugolio, un sospiro, infine posò i piedi in terra e tornò ritto sulla propria statura. Si stiracchiò, con i pugni chiusi dietro la schiena, emettendo un basso suono di fastidio. Le labbra storte in una smorfia, le palpebre socchiuse, fece vagare lo sguardo nel salone illuminato a giorno e cominciò a chiedersi che diavolo gli fosse passato per la testa.

Andare lì in piena notte, suonare al citofono senza un motivo apparente e poi iniziare a parlare come un fiume in piena, colpevolizzando Rowan, il suo terapista, per qualcosa che nessuno avrebbe potuto prevedere, era assurdo. Così si disse.

Poi, la sua voce si fece sentire. Lenta, modulata, rinvigorita dopo le quotidiane ore di sonno. Trillò alle sue spalle, lo fece sobbalzare con un: «Buongiorno, Randy». E proruppe ancora: «Dormito bene? Come ti senti?».

Lui si passò una mano sul viso, soppesò la risposta e corrugò appena la fronte. La gola ancora secca, la bocca impastata, desiderò quasi un bicchiere d'acqua, ma non osò chiederlo. Si chiarì la voce, mormorò: «Bene, grazie».

Rowan gli si avvicinò, il sorriso sulle labbra. Batté appena un colpo sulla spalla vicina e chiese: «Vuoi fare colazione?». Quando lo vide voltarsi, però, mutò espressione e arricciò di poco le labbra. «Cosa c'è? Pensi ancora a quello che è successo ieri?»

In realtà era confuso, frastornato, ma rispose lo stesso con un: «Non dovrei? Cazzo, Rowan, sei davvero uno psicologo o cosa? Pensi che basti dormire per allontanare i problemi?».

«Speravo che fosse solo una confusione momentanea» spiegò. Gli fece un cenno per essere seguito e si allontanò verso la cucina.

Randy gli fu subito dietro. Abbandonò l'aria fresca del salone per lasciarsi catturare da quella più tiepida che aleggiava tra le piastrelle chiare. Vide Rowan posare una mano sul piano cottura e indicare una sedia con fare tranquillo, infine si sentì dire:

«Accomodati, ti preparo qualcosa».

«Così potremo ancora non parlare di quello che è successo ieri sera?»

«Così potremo parlarne, mentre tu metti qualcosa nello stomaco» spiegò. Gli diede le spalle, poi aprì il frigorifero e trafficò con i cassetti. Tirò fuori tre arance dure, il cartone del latte, infine tornò al duo daffare e, con un coltello, gesticolò. «Avanti, inizia a parlare» lo invitò, prima di tagliare un'arancia a metà.

In silenzio, Randy sedette sulla sedia più vicina e osservò come Rowan preparava la spremuta senza neppure informarsi sui suoi gusti. Poi storse il naso, borbottò: «C'è del caffè? Non riesco a svegliarmi senza bere del caffè».

«Più tardi, adesso è troppo presto per bere il caffè» spiegò. «Berlo a stomaco vuoto fa male, Randy.»

«Non sei mia madre, cazzo» bofonchiò. Posò un gomito sul tavolo e si lasciò andare a uno sbuffo seccato. Poi sollevò lo sguardo verso il soffitto, capì di essere solo un ospite e smise di fare storie, attese di essere servito con quella che per Rowan era la colazione perfetta.

Invisibile (salvation)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora