24 - Care Less More

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Darrell aveva insistito affinché andasse in ospedale, gli aveva detto più volte che doveva farsi visitare da qualcuno per controllare che quella caduta non avesse aggravato le sue condizioni; eppure lui, cocciuto, lo aveva pregato di chiudere un occhio e rimandare ogni paternale in un secondo momento, quando sarebbe stato pronto ad assecondarlo.

Il motivo era Simon, lo Stronzo, come un tempo. Aveva capito che stava arrivando, così aveva cominciato a vestire Gabriel a fatica, sentendolo mugolare tra i denti in quella che per lui era una certa contusione.

«Non guardarmi così» mormorò d'un tratto, mentre Darrell prendeva a chiudergli i bottoni della camicia.

«Come ti starei guardando, sentiamo?»

«Mi stai biasimando.»

«Ti sto guardando come se fossi un idiota» borbottò laconico, finendo svelto il suo lavoro. Afferrò la cravatta, gliela passò attorno al collo e l'adagiò molle attorno alle sue spalle, tornando a specchiarsi negli occhi azzurri di Gabriel. «Preferisci parlare prima di lavoro con lo Stronzo, che andare in ospedale; come altro potrei guardarti, Fratellino?»

Lui storse appena la bocca, fece una smorfia strana, a metà tra l'indolenzito e il dispiaciuto. Poi deglutì e abbassò il mento. «Devo chiudere un discorso importante» mormorò serio. Con la coda dell'occhio, gli vide sollevare un sopracciglio.

«Un discorso serio su cosa? Cosa ci può essere di più importante della tua salute, scusa?» Quasi schioccò la lingua sul palato, si trattenne solo per evitare una nuova lite. «Un capitolo, forse? Il finale? Andiamo, Fratellino, quel dannato libro può aspettare.»

«Quello che devo dirgli non può aspettare» sussurrò.

Confuso, Darrell corrugò appena la fronte. Si lasciò sfuggire un sospiro, poi scosse la testa e arricciò le labbra. Prese ad annodargli la cravatta con fare assorto, disse: «Si può sapere di cosa stai parlando? È qualcosa che non so, forse? Con me puoi parlare, anche se non sembra. Ci siamo sempre detti tutto».

Per un attimo, Gabriel provò l'impulso di tacere e ripensò al giorno del suo matrimonio, al frusciare dell'abito di Lucia nella cappella. Ma poi, mordendosi le labbra, si sbiancò le nocche in un pugno malfermo e le lasciò stridere accanto a un cuscino del divano. Fissò la gola di Darrell, vuotò il sacco, chiese: «Tu eri suo complice?».

«Complice di chi? Di cosa stai parlando?»

Lo vide bloccarsi di colpo, con le dita strette attorno al corpo blu della cravatta. Indugiò, infine si lasciò sfuggire un sussurrò: «Di Simon, dico». Sollevò lo sguardo ed ebbe come l'impressione di aver fatto un buco nell'acqua, tuttavia continuò lo stesso: «Eri suo complice? Sapevi di Lucia, Darrell? Sapevi che mi stava ingannando, o stava ingannando anche te?».

Lui trattenne una risata, emise un debole suono divertito e disse: «Anche tu con questa storia? Lucia era una brava persona, Fratellino, non si sarebbe mai lasciata controllare da qualcuno come Simon». E dicendolo, neppure lui riuscì a credere alle sue stesse parole, perché lo sguardo di suo fratello era così serio, così fermo, che gli parve di aver mentito.

«Lo sai, vero, che l'unica persona che può darti una certezza in più è Simon, vero?» incalzò.

Pallido, Darrell annuì. Poi fece un passo indietro, distolse lo sguardo e serrò i denti. A fatica, borbottò: «Sei pronto, Fratellino; di certo non ti serve la giacca in estate». Si strinse nelle spalle, e subito lo sentì rispondere, dire:

«No, hai ragione. Grazie, Darrell».

«Dovere.» Abbozzò un sorriso, tornò a guardarlo e inclinò appena la testa con fare amichevole. Infine gli avvicinò il deambulatore e mormorò qualcosa come: «La stanza è sottosopra, il bagno fa schifo: non sei mai stato più disordinato di così. La malattia ti fa sembrare un adolescente».

Invisibile (salvation)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora