17 - Alive

62 9 15
                                    

Rientrando a casa, Randy pensava che avrebbe ancora discusso con Darrell a causa del discorso tirato in ballo la notte passata; eppure, ciò che trovò fu un'atmosfera tranquilla e il volto solare di Judy, intenta a giocare con Logan in salone. Si guardò attorno spaesato, girovagò per qualche minuto al piano terra e poi si azzardò a chiedere spiegazioni, sentendola esplodere con una notizia improvvisa: "Gabriel torna a casa".

Non rispose, si chiuse in un mutismo esagerato e poi, chiuso in camera, prese a tormentarsi i palmi delle mani, a fare avanti e indietro di fronte ai piedi del letto. Per un attimo immaginò di finire come qualche tempo prima, sballottolato a destra e a sinistra a causa di quella sciocca faida familiare, ma alla fine prese un bel respiro e ricordò di aver preso una posizione.

Le mani che premevano sul viso, le dita sugli occhi e poi sulle tempie, cercò di tenere a bada il mal di testa. Si sentì un vero stronzo, perché a lui stava bene quella situazione: Gabriel in ospedale, sul lettino, immobile e preda di se stesso; così deglutì a vuoto e inspirò a fondo, provando a calmarsi e si sedette in attesa di un segno, un qualcosa, muovendo nervoso le gambe per minuti interi, fin quando non udì la porta chiudersi in un tonfo e il chiacchiericcio arrivargli alle orecchie.

Era arrivato, così si disse, e Darrell con lui. Perciò si mordicchiò l'interno di una guancia, mugolò infastidito e storse le labbra, si avvicinò alla porta con titubanza. Ancora un respiro, i polmoni che si trattenevano a stento, e buttò fuori aria calda, scese veloce le scale.

Di fronte a loro, accennò un sorriso tirato. Osservò Gabriel, la sua posa malferma sul deambulatore, e sbiancò. Non seppe spiegarsi se fosse peggio trovarlo lì, ricurvo su quell'affare di metallo e vestito di tutto punto, o steso in pigiama sotto le lenzuola dell'ospedale. Senza parole, riuscì a mormorare uno stentato: «Bentornato».

Allora lui lo guardò e sollevò le labbra, ricambiando il suo saluto con un: «Grazie, Randy». La voce bassa, ma più decisa del solito, si mosse appena nella sua direzione e lasciò che Darrell si avvicinasse allo studio per aprire la porta.

Disse: «Ti ho fatto installare un letto giù, così non avrai difficoltà con le scale e potrai tornare a lavoro con il libro».

Gabriel si voltò nella sua direzione e annuì, certo che quello fosse il suo modo per chiedergli scusa. Non smise di sorridere, poi borbottò qualcosa come: «Voglio proprio vedere come sei andato avanti». Lo sentì ridacchiare, lo vide grattarsi la nuca e poi ritirarsi di qualche passo lungo il corridoio.

«Bene, ti lascio» disse. «Vorrai stare per i fatti tuoi, magari bere in tè rosso. Quanto tempo è che non ne bevi uno? Te lo faccio preparare da Judy, vuoi?» Guardò Judy, lanciandole un'occhiata complice, e poi allungò le braccia per farsi passare il piccolo che aveva in braccio.

Lei annuì, disse: «Certo, ci penso io». E ancora: «Bentornato, Gabriel».

«Grazie, Judy.» La vide allontanarsi, seguì Darrell con lo sguardo fin quando non sparì dietro le porte del salone e poi sospirò, facendo stridere le fastidiose rotelle del deambulatore verso lo studio.

Randy l'osservò in silenzio, infine si mosse nella sua direzione. «Mi farai entrare qualche volta?» chiese a bassa voce. «Ogni tanto vengo a prendere qualche libro, lo leggo prima di dormire; sai, mi aiuta a prendere sonno» mormorò, chiudendosi la porta alle spalle.

«Che domanda sciocca.»

Si strinse nelle spalle, poi si schiarì la voce e prese un bel respiro, disse: «Sei felice di essere a casa? Non mangerai più il cibo dell'ospedale, finalmente».

«Non si tratta solo del cibo dell'ospedale» lo corresse. «Posso riprendere in mano il libro.»

«Già, il libro» sospirò.

Invisibile (salvation)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora