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Osservava le fronde che si muovevano, i piccoli aghi di pino, che sembravano lame acuminate, e si chiedeva se il frinire delle cicale sarebbe mai cessato.

Là, lontano dal mondo, immerso in un'estate torbida, non poteva fare altro che pensare.

Le labbra storte in un'espressione schifata e una maglietta gialla, infilata a forza di primo mattino. Si sentiva un canarino in gabbia e aveva solo voglia di volare via per raggiungere sua mandare e mandarla al diavolo, considerata la brillante idea che aveva avuto.

Ricordava ancora quel momento, quando l'aveva vista entrare nella stanza del Royal Victoria Hospital con in mano il depliant colorato della Comunità Educativa Riabilitativa.

In un primo momento non se ne era accorto, ma aveva mancato un battito di fronte al suo sorriso tirato e, certo che gli stesse nascondendo qualcosa, aveva teso le orecchie di fronte al suo fastidioso tremolio, mentre lei si stringeva al marito per farsi coraggio.

Poi era arrivata dritta al punto e lui l'aveva sentita farneticare su un certo posto magnifico dove i ragazzi passavano l'estate, dove si sarebbe potuto riprendere prima del rientro a casa e dove avrebbe perfino dimenticato i giorni bui, quelli trascorsi a casa della nonna.

Ovviamente, non aveva idea di cosa stesse parlando.

Erano tutti pregiudizi, i suoi, e Randy lo sapeva. Gli era bastato guardarla per capire che aveva solo paura di vedergli squartare Pomello, il panciuto gatto grigio che aveva da dieci anni e che stentava ad arrivare fino alla ciotola dell'acqua senza rantolare s'un fianco in preda a una crisi d'asma.

Ma replicare, opporsi, sarebbe stato inutile. A suggerirglielo, gli occhi fissi di suo padre.

Li vedeva ancora: verdissimi, brillanti, inquisitori, non appena chiudeva i suoi e cercava di evadere con la mente da quel posto.

Uno sbuffo, l'ennesimo, gli scivolò di bocca. Calciò via un sasso e si sedette, con un grugnito, sul tronco che qualcuno aveva tagliato e abbandonato nella radura di Belvoir Park Forest. Poi sollevò la testa, le labbra storte in un'espressione assorta e le braccia incrociate al petto.

Non poté fare a meno di tornare indietro nel tempo mentre un brivido gli correva lungo la schiena e le lacrime prendevano a pungergli gli occhi.

In un attimo, rivide il corpo steso del Sacerdote, il suo cranio aperto e il sangue che gli sporcava le dita, i palmi, addirittura la faccia. Deglutì a fatica, sentendo l'aria mancargli nel petto e i muscoli della schiena tendersi, aggrovigliarsi.

Allora, come bruciato, scattò in piedi. Le sopracciglia contratte, la fronte corrugata, serrò i denti e si guardò attorno spaesato, in un moto d'allarme.

Con il respiro pesante, si mordicchiò l'interno di una guancia e si chiese se mai Abeigeal o qualche altro strano tizio de Il Grande Drago Rosso fosse nei paraggi per fargliela pagare; tuttavia, le sue orecchie captarono solo delle risate lontane.

Schioccò la lingua, non sapendo se essere o meno felice di tanto disinteresse, e pensò a Gabriel, a come lo aveva lasciato in ospedale, al senso di colpa che continuava a logorargli le viscere.

Aveva visto Simon sfiorare la morte, essere salvato per miracolo, ma non sapeva assolutamente nulla di lui; tanto meno di Darrell.

Così, prima ancora di rendersene conto, iniziò a camminare sul posto, a fare avanti e indietro di fronte al tronco. Le gambe che si muovevano da sole, che lo spingevano lontano dalla radura e poi le risate lontane, il chiacchiericcio della Comunità che diventava fievole, ovattato, e ancora i rami che gli carezzavano le ginocchia, che gli saettavano addosso come potenti schiaffi.

Invisibile (salvation)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora