Arrivo

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《Il destino, quando apre una porta, ne chiude un'altra. Dati certi passi avanti, non è possibile tornare indietro.》
[Victor Hugo]

Altre chissà quante ore, e finalmente dai finestrini della macchina si scorse un vecchio cartello scolorito, su cui erano impresse in caratteri cubitale le parole:

Welcome to Riverdale, the town with pep!》

Pessimo, pessimo inizio. Mano a mano che la vettura avanzava tra le strade del centro abitato, però, la situazione parve migliorare. Anche se era tutt'altro che felice di essere lì, Liria doveva ammetterlo: quello non era per niente un brutto posto. Sembrava la tipica cittadina americana un po' sperduta tra i boschi, con il clima perennemente umido e dove tutti conoscono tutti.

Le case erano principalmente in legno tinteggiato di svariati colori, e la maggior parte di esse aveva due piani. La macchina si fermò, Michael fu il primo a scendere, seguito da Luke, che per tutto il viaggio aveva occupato il sedile vicino al posto guidatore. Poi anche Jacob aprì la portiera e uscì dall'auto. Rimasero solo Liria e Tom, e nessuno dei due sembrava avere intenzione di scendere. Lei cercò di fare l'indifferente, tenendo lo sguardo incollato su ciò che c'era fuori dal finestrino, ma sentiva che il fratello la stava fissando.

"Magari per una volta potresti mettere da parte quel maledetto orgoglio e accettare che Riverdale non è poi così male..." sorrise.

Aveva ragione, Riverdale non era per niente male, e molto probabilmente aveva anche ragione sul fatto che quel posto avrebbe permesso a Liria di avere una vita più brillante e tranquilla, e lei lo sapeva bene, ma comunque non era ciò che voleva. E avrebbe anche rinunciato a condurre l'esistenza perfetta a cui tanto, da anni, aveva anelato, pur di dimostrare che quello non era il posto giusto per lei.

"Vedrai, ti troverai bene. La zia..." La ragazza non lo lasciò finire di parlare.

Aprì la portiera dell'auto ed uscì, senza preavviso. Se fosse rimasta ad ascoltare suo frarello, di sicuro lui sarebbe riuscito a convincerla con le sue parole, ad inculcarle nella mente stupide utopie che l'avrebbero solo illusa. Tom sapeva come prenderla, sapeva quali termini usare, era in grado di riconoscere il momento più giusto per aprire bocca. Liria, ai suoi occhi, era uno spartito musicale in cui le note non facevano che variare, ma di cui conosceva a memoria le pause, e ciò bastava per conferirgli più potere rispetto agli altri frarelli. Liria, però, si ripromise che non gliel'avrebbe data vinta, non così facilmente. Non questa volta.

I ragazzi erano davanti alla porta di una casa bianca, situata al numero 111 di Elm Street. Era più grande delle altre, molto più grande. Avevano già preso tutte le valigie di loro sorella. L'unica cosa che restava nel bagagliaio della macchina era il suo zaino, e sapevano bene di non doverlo assolutamente toccare. Lì dentro c'erano le cose più importanti della vita della ragazza. Un'agenda che loro madre usava per disegnare, una scatola con il bracciale che il padre aveva regalato alla donna per il loro primo anniversario, il quaderno in cui Liria aveva scritto dalla loro morte, un album di fotografie che Will le aveva dato per ricordarsi di lui... Come se avesse potuto dimenticarsi della persona che per diciassette anni le aveva fatto da angelo custode...

Con passo non molto spedito si avvicinò all'entrata dell'abitazione. Nel frattempo anche Tom l'aveva raggiunta. Vide Luke che sussurrava qualcosa a Michael, il quale un attimo dopo suonò il campanello. Per quanto Liria avesse capito, tra sua madre e sua zia non era mai corso buon sangue, nemmeno durante la loro infanzia. L'ultima volta che si erano viste era stata al battesimo della mora, quando lei aveva appena un anno. Alice non era nemmeno andata al funerale dei coniugi Anderson, e questo a loro figlia sembrava inconcepibile.

"Come può una persona non andare al funerale di sua sorella?!"

Questo aveva domandato una settimana prima i suoi fratelli, cercando di far leva dell'unica cosa che avevano in comune: il bene che volevano ai loro genitori.

Nel frattempo un uomo aprì la porta. Doveva avere una quarantina d'anni. Subito abbracciò i ragazzi.

"Ciao! Quanto tempo che non ci si vede!"

Poi si rivolse alla più piccola, che era rimasta in disparte:

"E tu devi essere Liria... Come sei diventata grande! Pensa, l'ultima volta che ti ho vista stavi a malapena in piedi!" Disse, con però un po' troppa enfasi per due persone che non si vedevano da quasi sedici anni.

Li invitò a entrare. Una donna bionda, la più bassa nella stanza in quel momento, venne loro in contro. Indossava un vestito indaco, con leggero coprispalle rosa abbinato alle scarpe. Guardò i fratelli con un grande sorriso sul volto, poi osservò la ragazza. La scrutò dall'alto in basso con aria scettica, quasi schifata. Gran bel modo di accogliere sua nipote.

"Però, Lira! Che stile da... Piccola delinquente..." disse lei.

La fece sembrare una battuta, sorridendo nervosamente, ma dal suo sguardo tutti capirono che non era così.

"I delinquenti che conosco io vanno in giro in giacca e cravatta." Commentò acida la mora.

La donna le rivolse un'occhiata torva, poi aggiunse:

"Hai i suoi stessi occhi. Gli stessi di tua madre. Credo sia l'unica cosa che hai ereditato da lei. Oltre al caratterino pungente, è ovvio... Elizabeth, per favore, accompagna Liria nella sua stanza."

Una ragazza bionda, con i capelli legati in una coda di cavallo la accompagnò al piano di sopra e le mostrò due stanze.

"Questa è la mia camera." Era molto rosa, agli occhi di Liria decisamente troppo."E questa è la tua."

Aprí una porta bianca che dava accesso a una stanza con le pareti chiare, di un azzurro tenue. Non c'erano quadri o poster sui muri, e neanche sull'armadio color panna. Era completamente spoglia. Ricordava la camera di un ospedale. Odorava anche, come la camera di un ospedale. C'era una forte fragranza di candeggina e di disinfettante. La stanza di Liria, a New York, profumava di pagine di vecchi libri scritti a macchina e di limone. Forse anche un po' di foglie secche, con quel loro effluvio pungente che pizzica il naso. Posò la sua roba ai piedi del letto e scese di sotto. I suoi fratelli erano in salotto. Si fermò prima che loro potessero vederla e si appoggiò al muro, sfruttando al massimo il suo udito per sentire le loro parole.

"Grazie Zia, davvero grazie mille. Liria ha davvero bisogno di allontanarsi dal South Bronx... Non è esattamente il posto migliore per vivere... Negli ultimi anni la situazione è migliorata, ma rimane comunque un posto pericoloso. Soprattutto di notte. E non è facile vietare ad un adolescente di uscire la sera."

"Beh, non dovete preoccuparvi. Qui la terrò d'occhio io. Non deve essere stato facile per voi badare a lei... Voglio dire, siete solo ragazzi, e lei sembra una a cui non piacciono molto le regole e le proibizioni..." sembrava scocciata.

La mora non riusciva davvero a capire tutta quella repulsione nei suoi confronti. Una cosa però era certa: a Alice Cooper non andava particolarmente a genio sua nipote, senza dubbio.

"No, per niente!" Intervenne Liria con un sorrisetto sfacciato.

Sapeva come infastidire le persone. Era un vero asso, nel farlo, e negli anni aveva perfezionato una tecnica infallibile: prima studiava le espressioni della povera vittima della sua irriverenza, poi il suo linguaggio del corpo, e infine colpiva. E affondava, per essere precisi. Bastava una semplice smorfia, qualche imitazione di poco conto, un pizzico di sarcasmo e il gioco era fatto. Facile come bere un bicchier d'acqua.

"I tuoi genitori non ti hanno insegnato a non origliare?" Chiese Alice. Pareva ancora più indisposta di prima, nonostante Liria credesse che non fosse possibile.

"No, però mi hanno detto che non bisogna esagerare con la candeggina."

I ragazzi non capirono a cosa si stesse riferendo, ma loro zia sì, e i commenti sulla pulizia della casa, a una maniaca dell'ordine come lei, irritavano senza alcun dubbio più di qualsiasi altra cosa.

Rebel [Jughead Jones]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora