Capitolo 26

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Passati quattro giorni di totale indifferenza tra me e Niccolò, non riuscivo più a pensare che tra di noi si riuscisse a ritrovare quel equilibrio di un tempo. Se non cercavo lui, lui non cercava me. E così anche da parte mia. Era difficile continuare a vivere sempre con quel continuo ed insopportabile travaglio interiore. Quel tipo di ansia che mi faceva stare male di continuo a che, nonostante tutto, continua ad aumentare. Erano giorni interi che sullo stomaco sentivo la presenza di un magone che non spariva mai. Mi sentivo sempre e continuamente triste ed offesa con il mondo come se la causa di tutto quel trambusto avvenuto tra me e Niccolò, fossero gli altri.

-"Vane.. ma secondo te la colpa è mia?"- domandavo continuamente alla bionda da giorni interi. La sua risposta era sempre la stessa eppure io continuavo a non convincermi.

-"No, quando si sbaglia, si sbaglia insieme"- rispose per l'ennesima volta mentre addentava nuovamente una mela rossa. La guardai ed abbassai la testa fissando le mie gambe, coperte dal tessuto in jeans.

-"Mh.. "- mi limitai a dire. Era un tardo pomeriggio e Vanessa, in assenza di mia madre, era venuta a trovarmi. In quel momento stavamo visionando distrattamente un cartone animato alla tv, ma io non sembravo minimamente interessata. Continuavo a pensare a Niccolò e a come la nostra relazione fosse declinata, d'altronde come tutti i giorni. Era desolante.

-"Aurora, non voglio che continui a star così. Capisco tutta l'angoscia che ti tormenta però così sembra che tu non viva più felice"- si lamentò la bionda abbassando il volume della televisione. Per lei era semplice parlare. Non aveva mai problemi con il suo Alessio e tutte quelle volte in cui litigavano, non passavano più di due ore senza far la pace. Non che fossi invidiosa del loro rapporto, ma non sopportavo quando la gente non comprendeva i problemi degli altri solo perché lei non ne aveva.

-"Vané, io non posso essere felice se continuo a pensare di star per perdere Niccolò"- dissi seria e poggiando le spalle sullo schienale, abbandonandomi alla stanchezza.

-"Lo so, Aurora. Ma quello che cerco di dirti è che non serve buttarsi giù così. Devi affrontare questa situazione con forza e coraggio"- mi esortó gesticolando nervosa. Portai una mano ai capelli e li scombinai con fare nervoso.

-"Mi sembra di impazzire"- farfugliai con un tono di voce dispiaciuto.

-"Secondo me dovresti parlargli"- disse la mia amica improvvisamente.

-"Per dirgli cosa? Ricorda che l'ultima volta sono stata io ad infuriarmi"-

-"Appunto!"- esclamò contrariata. Ad interrompere la nostra conversazione fu il suono del campanello. Mi alzai e mi diressi verso la porta per poterla aprire pensando si trattasse di mia madre. Non appena aprii mi ritrovai gli occhi color cioccolato di Niccolò che mi scrutavano arrabbiati. Aveva l'aria di una persona adirata e frustrata.

-"Niccolò che ci fai qui?"- domandai alzando un sopracciglio e mettendo le braccia a conserte.

-"Voglio che tu mi dia una spiegazione"- disse serio infilando le mani in tasca. Mi guardava con fare nervoso e mi guardava con quegli occhi da cui non traspariva più alcuna felicità.

-"Di cosa parli?"- domandai confusa e non capendo.

-"E così dal ginecologo ci sei andata con Giacomo, eh?"- chiese alterato e con nervosismo. Spalancai gli occhi ed aprii la bocca rimanendo senza parole. Che razza di domanda era?

-"Cosa? Niccolò, stai bene?"- dissi improvvisamente cercando di avvicinarmi a lui per constatare che fosse tutto apposto. Lui fece un passo indietro e, nonostante tutto, notavo che non c'era nulla che non andasse in lui.

-"Starei ancora meglio se non leggessi certe cose su di te"- sputó acido ed assumendo un'espressione disgustata. Alzai un sopracciglio e continuai a non capire.

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