Giorno 14: orologio

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Nella stanza dalle pareti candide si sentiva un forte ticchettio. Appesi ovunque stavano centinaia e centinaia di orologi, alcuni piccoli, altri grandi, alcuni semplici, altri riccamente decorati. Orologi da taschino, da polso, da parete. Ognuno ticchettava a modo suo. Nessuno poteva esser mandato indietro o avanti, e quando si fermava non c'era pila che tenesse: non sarebbe più partito.
A prendersi cura degli orologi c'era una persona anziana: non era uomo e nemmeno donna, era entrambi e, allo stesso tempo, nessuno dei due. Era soltanto questo: una persona, un individuo. I capelli bianchi, sciolti, arrivavano poco sopra le spalle. Gli occhi erano di un azzurro chiarissimo, quasi bianco, come il cielo in una fredda giornata invernale. La persona era avvolta in un abito nero e portava un pesante scialle di lana, anch'esso nero. Ogni giorno osservava gli orologi con attenzione e annotava eventuali anomalie: a volte infatti le lancette rallentavano fin quasi a fermarsi, per poi ripartire dopo un attimo. Pareva avere una sorta di sesto senso in grado di percepire quale orologio fosse più propenso a fermarsi, grazie al quale riusciva a trovare esattamente quello giusto in mezzo a tanti altri.
Quando un orologio si fermava, l*i lo staccava dalla parete, o dalla catenella a cui era appeso, e si recava in un'altra stanza per riporlo con cura in un alto mobile di mogano, che pareva non avere fine. Ogni tanto, poi, capitava di dover appendere qualche nuovo orologio, che sarebbe andato incontro allo stesso destino dei precedenti.
Per occuparsi di tale lavoro erano necessari requisiti specifici: moltissima pazienza, per esempio, e una lunga, lunghissima vita. Dopo tutto, per occuparsi dell'esistenza umana c'era bisogno di tempo, e chi ne aveva più del Tempo in persona?

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