Giorno 1: incubo

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"Non farà male, promesso."
Mentre l'uomo dal camice bianco gli attaccava degli elettrodi addosso, Mattia si guardava intorno. Le pareti spoglie, illuminate da luci al neon, gli davano una sensazione di freddo e inquietudine. Sapeva cosa stavano per fargli, era già successo altre volte: una volta pronto, l'uomo col camice sarebbe uscito dalla stanza e, piazzandosi al di là dell'unica parete non bianca, l'avrebbe osservato per un tempo che pareva interminabile. Protetto da quel vetro, l'uomo col camice avrebbe lasciato Mattia solo, prigioniero della propria mente.

"Siamo pronti, Mattia. Finirà presto, lo prometto" disse l'uomo col camice, mentre iniettava un siero nel sottile braccio del bambino. Prima di uscire, l'uomo si voltò e, sistemandosi gli occhiali, gli fece un augurio diverso dal solito: "Fa' brutti sogni, Mattia."

Il bambino chiuse gli occhi neri, strinse i pugni e cercò di addormentarsi. Pochi istanti dopo, grazie al siero, si trovava già nella buia prigione della sua testa.

Attorno a te ci sono delle ombre, miriadi di oscure e minacciose ombre, che brancolano nel buio alla costante ricerca di una preda.

Le luci al neon della stanza sfarfallarono, poi si spensero, sostituite dai bagliori verdastri delle lampade d'emergenza. Al di là del vetro, i monitor emettevano suoni regolari, mentre una mezza dozzina di uomini dal camice bianco osservavano i dati con attenzione.

Non devi far rumore, neanche uno.
Ti sentiranno.
Ti cercheranno.
Ti troveranno, e quando accadrà non sai cosa ti faranno, e neanche vuoi saperlo.
Provi a indietreggiare, ma il terreno è appiccicoso. Potrebbe essere melma, potrebbe essere petrolio. Potrebbe essere sangue, ma è troppo buio per scoprirlo.
Muovendo lentamente le tue piccole gambe da bambino cerchi di allontanarti, anche se non sai dove andare. Intorno a te non ci sono punti di riferimento, solo ombre e sussurri inquietanti.

La piccola stanza si riempì di sussurri, dapprima deboli, poi più forti.

D'un tratto qualcosa sfiora il tuo braccio. Ti arresti, soffochi un grido, rimani paralizzato mentre un basso rumore gutturale si avvicina al tuo orecchio destro. Percepisci qualcosa davanti al tuo viso, ne senti l'odore acre.
Lui sa che sei qui.
Non puoi più nasconderti, ti ha trovato.

I monitor iniziarono a emettere rumori sempre più forti, una sequenza crescente di bip impazziti. Sugli schermi i numeri si susseguivano senza un senso logico. Le luci di emergenza nella stanza bianca lampeggiarono, illuminando a tratti il gracile corpo di Mattia. Coi capelli neri sparsi sul cuscino, il bambino si irrigidì; fu colto da spasmi, muovendo la testa con violenza, emettendo bassi lamenti.

Se uno ti ha trovato, anche gli altri ti hanno trovato. E se le ombre sanno dove sei, anche il loro oscuro re lo sa, l'Entità Suprema.
Nel buio vedi due luci, dapprima piccole, poi più grandi. Grazie a quelle luci riesci a scorgere qualcosa nel buio, e vorresti non averlo mai fatto. Corpi attorcigliati, avvinghiati. Fauci spalancate, denti aguzzi che spiccano in tutto quel nero.
L'Entità Suprema si sta avvicinando a te, scrutandoti. 'Un piccolo corpo', pensa, 'ma andrà bene'.
'Una porta è pur sempre una porta.'

Mattia spalancò gli occhi, ma non fu l'iride nera quella che gli uomini col camice videro: al suo posto c'era una luce gialla, capace di fendere l'oscurità più fosca. Dalle più remote profondità della mente del bambino partì un grido, che si diffuse nella sua gola, poi uscì dalla bocca. Era un grido agghiacciante, come se tutto il dolore di questo mondo fosse concentrato nel corpo di un bambino di otto anni che aveva la sfortuna di essere un ponte tra il mondo reale e quello dei sogni.
Insieme con quell'orripilante suono, dalla gola di Mattia uscì del fumo nero che riempì la stanza.
Lentamente il fumo si condensò in una figura umanoide, dagli arti esageratamente lunghi ed esili, eppure forti. Le braccia pendevano mollemente ai lati del corpo, sproporzionate, e gli artigli con cui culminava ogni mano sfioravano la pelle pallida del bambino.
L'Entità Suprema avvicinò il volto sfigurato a quello cinereo di Mattia.
Quando si voltò, gli occhi del ragazzino erano chiusi; la luce che li animava era racchiusa nelle vacue orbite dell'Entità, che adesso era rivolta verso il vetro al di là del quale gli uomini col camice bianco, terrorizzati, fissavano inermi la scena, i volti maschere di terrore. Ogni tentativo di fuga era vano: le porte erano bloccate.
L'Entità fissò il vetro, come se potesse vedervi attraverso. Mosse un passo verso di esso.
Un altro.
Un altro ancora.
Si udì il suono di artigli che graffiano il vetro, lentamente.
Silenzio.
Buio, i neon erano spenti, le lampade d'emergenza pure. Anche gli occhi dell'Entità.
Silenzio.
Silenzio.
Un fruscio.
Il rumore di un vetro che si incrina.
Il fragore del vetro che va in pezzi, le schegge che cadono.
Buio.
Silenzio.
D'un tratto, due luci.
Due occhi.

Writober 2019Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora