Capitolo 7

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Ministero della Magia, 14 Luglio 2005

Durante i suoi anni da professore, Severus aveva in qualche modo apprezzato l'estate. Non che, in Scozia, esistesse una stagione che si potesse definire esattamente in quel modo, però almeno l'arrivo di quel periodo prospettava due meravigliosi, ininterrotti mesi senza ragazzini urlanti e isterici tra i piedi.

D'accordo, aveva deciso lui di intraprendere la carriera di insegnante. Ok, aveva sempre amato l'idea di riuscire a trasmettere qualcosa a qualcuno degli zucconi che gli erano sfilati davanti in diciassette anni di carriera scolastica. Infine, vedere molti dei suoi studenti passare gli esami con voti decenti se non ottimi, avendo una buona base per la loro vita futura l'aveva spesso riempito di una soddisfazione — mai espressa a parole o con gesti di apprezzamento, sia chiaro — che quasi riusciva a controbilanciare l'irritazione di avere a che fare con loro.

Però...

Però la realtà dei fatti – ovvero l'enorme ammontare del rompimento di scatole generato da centinaia di adolescenti governati dagli ormoni, riuniti giorno e notte sotto lo stesso tetto – richiedeva un periodo di stacco per evitare di uscire del tutto di testa. Per questo Severus aveva sempre accolto l'arrivo della fine dell'anno scolastico con un certo entusiasmo.

Dopo aver cambiato lavoro, l'estate gli era divenuta indifferente, così come le altre stagioni: in fondo, la sua routine quotidiana non cambiava di una virgola, a esclusione del diverso peso dei tessuti con cui erano confezionati gli abiti che indossava. Si alzava sempre alla stessa ora, andava al Ministero tramite un collegamento Metropolvere riservato, senza nemmeno guardare che tempo facesse fuori e una volta lì lavorava in tranquillità e silenzio finché la stanchezza non gli rendeva le palpebre pesanti. Tre o quattro volte a settimana, dopo il lavoro, si allenava in segreto in una palestra babbana per mantenere funzionanti muscoli e articolazioni. Infine tornava a casa, cenava, leggeva un po' e poi andava a dormire. Giorno dopo giorno, sabati e domeniche comprese, in un susseguirsi quasi ipnotico che era riuscito, finalmente, ad anestetizzarlo.

Fino a quell'anno.

Fino all'irruzione di Hermione Granger nel suo tranquillo angolo di mondo.

Quella dannata donna doveva sicuramente pensare di trovarsi su una qualche isola greca, anziché nella piovosa Londra: sembrava aver abolito del tutto pantaloni e collant e, sotto al camice bianco che indossava ogni giorno in laboratorio, portava gonne sopra al ginocchio, che lasciavano scoperta una abbondante porzione di gambe. Gambe lisce e ben tornite, per la precisione.

Nei giorni più caldi, addirittura, calzava dei sandali. Sandali, per le mutande di Merlino!, che rivelavano piedi eleganti, con le unghie dipinte di colori improbabili ma che sembravano essere capaci di catturare lo sguardo nei momenti meno appropriati.

E poi c'erano quelle scollature. Quelle che la forma del camice non riusciva a nascondere.

Era per quel motivo, ne era sicuro, che, da qualche tempo, tre quarti degli apprendisti e dei suoi colleghi – tutti maschi – avevano bisogno in continuazione di consultarlo in merito a qualcosa e, come se non bastasse, diversi altri dipendenti ministeriali trovavano le scuse più improbabili per passare di lì. Il suo laboratorio era diventato più affollato della dannata King's Cross all'ora di punta. A volte faticava a muoversi perché si trovava a dover navigare tra molecole di testosterone grosse come angurie.

Avrebbe dovuto imporle di vestirsi in modo diverso. Di vestirsi come Molly Weasley, ecco, così da evitare di richiamare tutti i mosconi dell'intero palazzo. Avrebbe dovuto, ma c'era qualcosa che lo tratteneva e non era la timidezza, né l'imbarazzo di dover affrontare quel tipo di argomento. No, era qualcos'altro e lui non ci voleva nemmeno pensare.

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