Capitolo 36

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Chinatown, Londra, 28 dicembre 2005

Severus gettò un'occhiata all'orologio babbano che aveva indossato per il pomeriggio alla mostra.

Mancavano dodici minuti all'ora dell'appuntamento e lui era già arrivato sotto casa di Granger. Era quasi un miracolo che fosse così in anticipo, dato che si era cambiato d'abito almeno cinque volte, continuando a vedere nello specchio sempre lo stesso spaventapasseri sfregiato, qualunque stupido pezzo di tessuto si gettasse addosso.

Iniziò a camminare per ammazzare il tempo ma, quando si rese conto che era la quarta volta che faceva la spola tra la panchina e il cestino della spazzatura, si impose di fermarsi.

Non era possibile che fosse così agitato. Non lui, che per quasi diciott'anni aveva affrontato i MangiaMorte, fingendosi uno di loro. Non lui, che per quasi diciott'anni aveva mentito a uno dei Legilimenti più potenti del mondo. Non lui, che aveva dovuto dare il colpo di grazia all'unico vero amico che avesse mai avuto dopo Lily e prima di intraprendere quello strano rapporto con Granger; non lui, che aveva affrontato battaglie, duelli e un dannatissimo serpente di tre metri che gli aveva praticamente staccato la giugulare.

Non lui, che aveva giurato a sé stesso che avrebbe chiuso ogni emozione in un baule senza fondo, e buttato via la chiave.

E adesso si ritrovava a fare avanti e indietro sotto a un portone, come un adolescente la prima volta che usciva con una ragazza. Non che sapesse davvero come si sentisse, un adolescente alla prima uscita: nessuna, all'epoca, aveva mai accettato di avvicinarsi a meno di due metri da lui, figuriamoci accettare di accompagnarlo da qualche parte.

In ogni caso, quella non era la sua prima uscita, accidenti. Aveva portato fuori a cena diverse di quelle stupide cacciatrici di dote, anni prima, prima di capire quale fosse il loro gioco.

E poi, si trattava di Granger, per la barba unta di Merlino. Anche se non si incontravano dalla Vigilia, in genere la vedeva ogni giorno al Ministero. La scopava ogni giorno al Ministero. E a casa di lei. Passava un sacco di tempo a casa di lei.

E quella non era un'uscita... uscita, ma solo un incontro tra colleghi. Solo uno stupido giro a una stupida mostra.

Quindi non c'era motivo per essere nervoso.

Perché cavolo era nervoso?

Quando finalmente arrivarono le quattordici e trenta, prese un respiro tremulo e pigiò il pulsante del citofono.

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Hermione lanciò un'occhiata all'orologio.

Maledizione, mancavano solo quindici minuti all'appuntamento ed era ancora in mutande. Sul letto c'era un cumulo di vestiti che praticamente arrivava al soffitto, e lei si ritrovava a trattenersi a stento dal gridare: "non ho niente da mettermi!"

Per fortuna si era già almeno truccata. Poco, e con colori neutri che si sarebbero adattati a qualunque cosa avesse scelto di indossare.

Se fosse riuscita a scegliere qualcosa...

Alla fine, alle 14:27 si infilò un paio di jeans neri, un golf verde con scollo a barchetta, molto caldo e che riusciva a riproporzionare otticamente le spalle ai suoi fianchi abbondanti, e un paio di anfibi Doctor Martens.

Un cenno della bacchetta e tutti gli altri abiti marciarono ordinatamente nell'armadio. Quando il campanello suonò, sussultò ma era pronta.

Forse.

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Il museo era piuttosto affollato. Per il caldo – generato sicuramente dall'effetto stalla – Hermione si era tolta il cappotto, rimanendo con un maglioncino delizioso, aderente e che le lasciava scoperte le spalle.

Falling - A Snamione StoryDove le storie prendono vita. Scoprilo ora