Capitolo 3

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Ministero della Magia, Londra, 31 Gennaio 2005

Mentre camminava lungo il corridoio del Reparto Pozioni del Ministero, Severus Snape consultò l'antico orologio da taschino, una delle poche cose utili che aveva ereditato da nonno Prince.

Le sette e cinquantacinque.

Gli restavano ancora cinque minuti, prima che il suo nuovo apprendista arrivasse a distruggere la tranquillità che si era creato in quegli anni di isolamento.

Gli veniva da serrare la mascella, al pensiero e, come al solito, un sordo risentimento gli montò nel petto. Odiava i maghi, li odiava fin nel profondo, anche se lui era di fatto uno di essi.

Odiava il mondo magico e il modo in cui, nonostante tutto quello che aveva fatto per esso, i sacrifici che aveva compiuto e quella vuota onorificenza che era l'Ordine di Merlino, era stato accantonato come una bambola rotta.

Avrebbe voluto mettersi in proprio, aprire un laboratorio di pozioni e venderle al miglior offerente. Ci aveva provato, ma... nessuno voleva comprare da Severus Snape, il doppiogiochista. O forse da Severus Snape, il solitario.

In ogni caso, per non morire di fame – e non dover tornare a insegnare – aveva dovuto accettare quello stupido lavoro al Ministero, e ora... ora la beffa più grande. Un altro allievo tra i piedi, dopo che aveva sacrificato metà della sua vita in quel dannato castello zeppo di adolescenti infoiati.

Odiava i maghi e il mondo magico, e soprattutto odiava la prole dei maghi.

Girò l'angolo, diretto a passo di marcia verso il proprio laboratorio posto in fondo a un corridoio secondario e, dato che erano ormai le sette e cinquantasette e non c'era ancora nessuna testa di rapa in vista lungo il corridoio, pregustò il momento in cui avrebbe potuto rimproverare il suo nuovo assistente per il ritardo. Solo dopo qualche passo il suo sguardo scese di un pochino e lì si bloccò.

Per forza non aveva visto ancora alcuna testa, di rapa o meno: ciò che si stagliava nell'aria, a mezza altezza, seminascosto dall'attaccapanni (che, il primo giorno di lavoro lì, aveva piazzato in modo da mimetizzare il più possibile la porta senza impedirne l'apertura) e avvolto in un paio di pantaloni grigio antracite piuttosto tesi, era un sedere.

Un sedere femminile dalla forma perfetta, tonda al punto giusto.

Severus si fermò con lo sguardo fisso sulla parte anatomica che così irriverentemente gli si parava davanti, prima di riscuotersi e ricominciare a camminare. Quelli che gli stavano passando per la mente non erano pensieri per un lunedì mattina piovoso, anzi: non erano pensieri da avere, punto.

In generale ma soprattutto... Non per uno come lui.

La proprietaria delle natiche che lui si rifiutò da quel momento in poi di definire attraenti si raddrizzò dalla borsa sulla quale era chinata, sempre dandogli le spalle, e lui poté notare una figura alta ma formosa, con la vita stretta e gambe tornite, e una corona di ricci castani intorno alla testa.

La donna si voltò e lui rimase interdetto.

"Io la conosco" si disse, un istante prima di capire di chi si trattasse. Poi la realtà gli piombò addosso come un carico di mattoni, togliendogli per un istante l'aria dai polmoni.

Davanti a lui, con un sorriso di circostanza decorato da un rossetto di un colore discreto, stava Hermione Granger, membro di spicco del Golden Trio. Il tormento della sua vita da professore, simbolo vivente di un passato che lui non aveva alcuna voglia di rispolverare, ma che tornava a prenderlo a calci nel sedere.

Poteva esserci solo un motivo se si trovava proprio davanti alla sua porta, proprio a quell'ora.

Sì, si disse con una smorfia interiore di auto-derisione, il fato ce l'aveva decisamente con lui.

Falling - A Snamione StoryDove le storie prendono vita. Scoprilo ora