XX. Titanic VS Iceberg (Anna)

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Ore 20:10; casa vacanze di Amhad.

<< Come stai? Ti senti meglio? >> domando, chiudendomi la porta alle spalle.

Individuo la figura di Ilyà seduto sul letto con le spalle rivolte alla porta e lo sguardo puntato fuori dalla finestra. Stringendo i denti per il dolore alla gamba, cerco di camminare il meglio possibile nonostante tutta la gamba destra sembri anestetizzata e mi siedo al suo fianco.

<< Non avrei dovuto portarti là dentro. >> sussurra gelido, lanciandomi una breve occhiata. << Ti sei ridotta pure a fingere di stare bene. >>

Osservo il profilo tagliente e pallido quanto la Luna; mi rimbalza in mente in ricordo di Capodanno. << Sto bene io. Tu, piuttosto, come sta la schiena? I tagli si stanno rimarginando? >> domando, passando una mano sul tessuto della sua maglietta nera.

Rimane in silenzio qualche secondo, puntando gli occhi chiari nei miei e un brivido mi percorre la schiena. << Perché ti preoccupi così tanto per gli altri, trascurando anche te stessa? >>

Mi irrigidisco, staccando lo sguardo e lo punto fuori dalla finestra, sulla strada deserta di fronte alla casa. Alle altre persone, quando mi ponevano questa domanda, tendevo ad evitarla o rispondendo in modo ironico per buttarla sul ridere, ma purtroppo mi rendo conto che con Ilyà entrambe le opzioni sono nulle – soprattutto la seconda. Non servirà a nulla inventarmi qualcosa, perché lui mi conosce meglio di me stessa e sa quando mento.

<< Nessuno l'ha fatto per me quando ne avevo bisogno, e so quella sensazione di abbandono che sembra divorarti da dentro, lasciandoti senza ossigeno e l'impressione di affogare. >> sussurro a stento, lasciando che la malinconia mi avvolga cancellando tutto il dolore che attraversa il mio corpo. << Non posso fare miracoli, ma posso aiutare le persone a stare un minimo meglio, facendoli sentire al centro delle attenzioni; facendogli capire che non sono soli. >>

<< Io non sono solo. >>

<< Ma ti ci senti. >> ribatto prontamente. << Eppure, devi capire, che ci sono persone che si preoccupano per te: mio zio, Manuel, Brian, Veronica... pure Melanie! >>

<< Sei venuta qui per farmi la ramanzina? >>

Sgrano gli occhi, alzandomi di scatto ignorando le fitte alla schiena e gli punto un dito contro. << Sono qui solo perché tu volevi parlare con me! È impossibile intrattenere una conversazione con te, ci rinuncio. >>

Gli volto le spalle, incamminandomi con passo risoluto – anche se zoppicante – verso l'uscita, quando sento la sua voce richiamarmi. Mi blocco sul posto, con lo sguardo puntato nel vuoto e l'animo stanco da questi continui battibecchi.

Torno indietro, mordendomi la lingua e mi metto nuovamente affianco a lui, sospirando. << Senti, sono stanca di litigare con te. Ho fatto di tutto pur di starti simpatica, ma è inutile. >>

Ilyà non mi risponde, ma lo vedo frugare dentro la tasca dei pantaloni della tuta che probabilmente devono avergli portato Emìle e Brian; Melanie mi ha detto che hanno dovuto bruciare i vestiti per quanto male erano messi.

Un mazzo di chiave appare davanti a me, e lui me lo porge sul palo della mano, in una tacita richiesta; la Lamborghini.

<< Ilyà... >> sussurro combattuta.

Perché vuole regalarmi una macchina che costa un occhio della testa? Perché insiste così tanto, ma non mi dice il vero motivo? A volte – la maggior parte delle volte – detesto il suo carattere silenzioso, chiuso, come se i suoi gesti spiegassero tutto. Ma se non mi parla, se non mi spiega il motivo per cui fa determinate cose, non posso tirare delle conclusioni.

L'Incantatrice - La Caduta del DiavoloDove le storie prendono vita. Scoprilo ora