XXVI. Non ora (Anna)

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Stringo il volante della Bugatti l'ennesima volta e scuoto il capo, dandomi della stupida.

Sono passati due giorni dall'incidente e ancora non ho metabolizzato l'avvenimento. Ogni volta che arrivo davanti la porta, mi blocco per una decina di minuti prima di trovare il coraggio per entrare.

Passo una mano tra i capelli, facendo una smorfia. Non ricordo nemmeno che profumo abbia il sapone.

Qualcuno bussa al finestrino, e non ho nemmeno bisogno di girarmi per capire chi sia: mio zio.

Poggio il capo sul finestrino, senza forze. Il magone si fa nuovamente presente nel petto, e quella vocina rimbomba nella mia testa; quella voce che non fa altro che ripetere "È colpa tua".

Bussano nuovamente, e sbuffo. Questa routine si ripete tutte le volte che vengo qui. Mio zio mi sta sempre attorno, sondando in terreno e prega affinché non prenda decisioni sconsiderate.

Apro lo sportello, mancando il fianco di Emìle per un pelo. Sento il suo sguardo su di me, ma non ho il coraggio di alzare gli occhi.

<< Anna, sono preoccupato per te. >> sussurra, poggiando una mano sulla mia spalla. Dalle occhiaie che arrivano fino al pavimento, deve aver capito che non ho dormito per niente questa notte. << Non è colpa tua. >>

Scrollo la spalla, liberandomi dalla sua presa. Sento solo un enorme vuoto dentro il mio petto.

<< Non è il momento. >> ribatto con un filo di voce. Senza aspettare ulteriormente, entro all'interno della struttura ospedaliera. Non ho nemmeno bisogno di firmare le carte, perché tutti sanno perfettamente il motivo per cui sono qui e chi sono.

A testa bassa, prendo il primo corridoio sulla sinistra e, sebbene non vi sia nessuno nel raggio di metri, posso percepire la presenza di mio zio alle spalle. Non è facile liberarsi di lui.

Apro la quarta porta sulla sinistra ed entro. Solo ora, azzardo un'occhiata ai presenti: Ilyà e Brian. Veronica sarà probabilmente tornata in hotel con Riina per fare una doccia e mangiare qualcosa.

L'ambiente è asettico e le narici bruciano per la quantità spropositata di disinfettanti usata. Sulla sinistra, il letto in cui giace Manuel, il cui corpo è infilzato da vari aghi di cui disconosco l'utilizzo. Sulla destra, un divanetto bianco in cui sono seduti i due ragazzi e altre tre poltroncine.

Il mio sguardo passa sfuggente sopra i lineamenti emaciati del mio fidanzato, ma mi avvicino per assicurarmi che sia effettivamente vivo, sebbene i bip delle macchine lo affermino.

Gli stringo la mano tiepida e sposto leggermente due dita per controllare il polso. Solo ora, posso tirare un sospiro di sollievo.

Nel silenzio della stanza, prendo una delle poltroncine e la posiziono accanto al letto.

Sempre gli stessi movimenti, nessun pensiero.

Mi sento un'automa.

La porta si apre e, nel giro di qualche secondo, mi ritrovo il solito dottore accanto. Non lo guardo in volto, ma so che si tratta sempre della stessa persona dalla fede stilizzata al dito.

<< Non è cambiato molto dall'ultima volta che ci siamo visti. >> commenta, sfogliando dei documenti nella carpetta. << Come ben saprete, ha avuto una lieve lesione cerebrale. Questo può portare a perdite di memoria, breve stato d'incoscienza e confusione mentale. >>

Stringo la mano tatuata di Manuel nella mia, come se potessi trasmettergli in qualche modo il dolore che sto provando.

<< Ora come ora, si trova nello stato di coma. Ovvero... >> Si ferma, vedendo che scuoto la mano destra.

Per la prima volta da quando Manuel si trova in questo ospedale, gli rivolgo la parola: << So cosa è un coma. Piuttosto, l'amnesia è temporanea o irreversibile? >>

Il medico - che non so nemmeno come sia fatto - rimane in silenzio per qualche secondo, prima di riprendere parola: << Generalmente, temporanea. Solo in casi gravi si parla di un'amnesia anterograda permanente. >>

<< E quanto scommettiamo che farò parte di quell'1% dei casi? >> Aggrotto le sopracciglia, lanciando un'occhiata alla cartella che tiene in mano. << Altri aggiornamenti? >>

Lo sento esitare, probabilmente sorpreso dal mio tono che sembra totalmente disinteressato. In realtà, sto morendo dentro.

Decido di non ascoltare più nessuna delle sue parole e, prendendo il coraggio in mano, sposto lo sguardo sul volto emaciato di Manuel.

Sembra una costellazione di chiazze violacee, cerotti e punti di sutura.

Il mio cuore si stringe, gli occhi si riempiono di lacrime.

Mi sento un mostro.

Scoppio in lacrime, incurante degli sguardi su di me. Sento il bisogno di sfogarmi. La pressione accumulata in questi giorni viene fuori come un fiume in piena.

Due giorni in cui ho sperato che i suoi bellissimi occhi smeraldo si puntassero su di me, mi confortassero come solo loro sono capaci di fare e che le sue braccia stringessero il mio corpo tremante, stremato.

Mi manca il suo profumo di mela verde, ormai svanito sotto quello dei vari disinfettanti. Mi manca il suo sorriso bianco, caloroso. Mi mancano le sue piccole attenzioni, le battutine.

Tutto questo, solo per colpa mia.

Avrei dovuto dirgli di non gareggiare, che quella ragazza non mi convinceva per nulla e che lo amo, nonostante tutto.

Un urlo straziante esce dalle mie labbra, scuotendo tutte le cellule del corpo.

Siamo solo dei ragazzi che vogliono godersi la vita. Non so come, quando e se ciò che vi è tra noi finirà mai, ma so quello che provo ora. So che è l'unica persona che voglio avere al mio fianco durante i bei momenti e quelli brutti. So che, se non si ricorderà di me, finirei nuovamente dallo psicoterapeuta.

So che non posso perderlo. Non ora.

Il senso di colpa mi divora, fino al punto che sento i polmoni chiudersi e una voragine crearsi dentro al mio petto.

L'immagine della Lamborghini in preda alle fiamme divampa nella mia mente e le lacrime non cessano di sgorgare.

Ricordo il senso di disorientamento che provai quando un'orda di persone mi circondó, il corpo di Manuel tra le braccia e non accennavo a lasciarlo andare.

Non ho permesso ad alcuna anima vivente di toccarlo e, in silenzio religioso, ho aspettato che l'ambulanza arrivasse.

Il giorno dopo, prima di recarmi in ospedale, mi sono ritirata dal Campionato e ho lasciato campo libero a Melanie. Anche se non ha proferito parola, so che Emíle c'è rimasto male; sperava fosse il mio grande debutto in società.

A quanto so, è rimasto in contatto con i Collins per accordarsi su chi deve pagare cosa è non, ma me ne sono tenuta alla larga. Se per qualsiasi motivo Natasha dovesse apparire davanti a me, sarà la prossima a finire in ospedale.

Poiché ormai rimane poco e niente della Lamborghini, non ho potuto fare i miei accertamenti per capire se, prima della prova, avessero manomesso i freni.

Prendo dei respiri profondi nel tentativo di calmarmi: ho il cervello che lavora a mille e un'emicrania martellante.

Probabilmente, se prima non scoprirò cosa sia realmente successo, non mi metterò mai l'anima in pace.

E so anche a chi chiedere.

Spazio autrice.
So che vi aspettavate molto di più, ma, ora come ora, Anna è devastata e nemmeno lei sa cosa pensare.
L'unica cosa che le viene in mente di fare è agire razionalmente, come ha sempre fatto.
Mettere da parte il sentimentalismo, per far posto alla Vendetta.

Queen of Hell.

L'Incantatrice - La Caduta del DiavoloDove le storie prendono vita. Scoprilo ora