II. Benvenuti a Los Angeles. (Melanie)

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Ore 10,57. Los Angeles, hotel.

<< Mel! Ma cosa combini! >> strepita Haddy, facendomi bloccare con le caramelle in mano.

Gli faccio il segno di stare zitto, e infilo le caramelle alla menta in tasca, prese dalla ciotola della reception dell'hotel in cui alloggiamo a Los Angeles.

Abbiamo affittato un appartamento nel centro città, dato che staremo via per un mese ma la proprietaria ha detto che non sarà libero prima di domani pomeriggio, perciò ci siamo visti costretti a pernottare nel primo hotel che ci capitasse a tiro.

Mi allontano dal bancone, trascinando dietro la valigia metallizzata e raggiungo Amhad che mi aspetta davanti all'ascensore. Il ragazzo mi tira un leggero scappellotto, e ridacchio sotto i baffi.

<< Sto morendo di fame. >> si lamenta Haddy, mentre siamo dentro l'ascensore e aspettiamo che ci porti al piano delle nostre camere.

L'hotel sembra deserto, e da ciò che ho potuto costatare dalla bacheca in cui sono appese tutte le chiavi delle camere, coloro che alloggiavano prima del nostro arrivo erano solo in quattro. L'aspetto del palazzo, da fuori, non è il massimo ma dentro è molto pulito, dall'aspetto classico e non dozzinale come ci saremmo aspettati. Lo staff sembra a primo impatto molto affabile, nonostante sia un tre stelle.

<< Ho portato delle merendine in valigia. >> provo a tranquillizzarlo, alzando gli occhi al cielo. << Dammi il tempo di arrivare in camera e te le do. >>

Mi lancia un'occhiataccia, dandomi una leggera spallata. << Non voglio deprimermi qui dentro, ammuffendo nella camera da letto. Ti do mezz'ora per sistemarti, e poi ci troviamo nella hall per uscire. >>

Sbuffo, ma non ribatto, e una volta che l'ascensore è arrivato al secondo piano scendiamo, dividendoci: abbiamo le stanze in corridoi opposti.

Stringo in mano la targhetta con il numero della stanza e la chiave elettronica, e sfilo davanti a tutte le porte del corridoio, tenendo lo sguardo fisso sui numeri, ma non riesco a trovare la mia.

Appoggio la schiena al muro, una volta giunta alla fine del corridoio dove vi sono solo delle scale secondarie che portano al piano di sotto.

<< Avanti! Come è possibile! >> esclamo allo stremo delle forze. Il viaggio in aereo mi ha ridotto ad uno straccio: odio viaggiare con quel coso, sebbene mi piaccia guardare fuori dal finestrino. Da' l'impressione di poter precipitare da un momento all'altro.

<< Come mai quell'espressione sconsolata, signorina? >>

Un ragazzo appare davanti alla mia visuale, facendomi sobbalzare e poggio una mano sul cuore che ha smesso di battere per un millesimo di secondo di troppo.

"Non l'ho sentito salire le scale."

Una torretta alta un metro e ottanta - se non di più - mi sta sorridendo, osservandomi attentamente con un paio di occhi azzurri penetrarti e dei capelli nero petrolio. Indossa uno completo grigio antracite, abbinato ad una camicia nera e una cravatta del medesimo colore. Sembra un ragazzo nei panni di un uomo d'affari, eppure avrà solo qualche anno in più di me.

<< Ehm, si, salve. Non trovo la mia stanza. >> Ricambio il sorriso, imbarazzata.

Mi porge la mano, e aggrotto le sopracciglia, non capendo cosa intenda e, nel dubbio, gli batto il cinque. Scoppia a ridere, e la sua risata cristallina mi avvolge, stordendomi per qualche secondo.

<< Mi faccia vedere il numero. >> Scuote la testa, continuando a ridacchiare.

Sento le guance prendere a fuoco, e - trafelata - gli porgo la suddetta chiave. Indica una porta in legno massiccio, a qualche metro di distanza da me, tornando indietro la chiave elettronica facendo attenzione a non sfiorare la mia mano.

L'Incantatrice - La Caduta del DiavoloDove le storie prendono vita. Scoprilo ora