Arianna

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Riccardo

Sono davanti al cancello nero con la lettera che ho ricevuto stamattina e non mi decido ad entrare. Ho desiderato tanto andare via da qui. Per tutta la vita non ho fatto altro che pensare che da grande, io, in questa casa, non ci avrei messo più piede. Eppure, ora che grande lo sono davvero e qui non ci vivo più, sento che là dentro io ci ho lasciato una parte importante di me. Perché alla fine questa casa che ho sempre odiato mi ha anche regalato l'affetto di una persona che è stata madre senza esserlo davvero.
Mi ha lavato, mi ha fatto mangiare, mi ha vestito, mi ha insegnato a parlare, a sorridere e poi anche a piangere. Mi ha coccolato, sgridato, curato, consolato, mi ha insegnato ad andare in bicicletta, a leggere, a scrivere, a giocare, a studiare e poi è stata con me sempre. Non si è persa nessuna recita a scuola, nessuna partita, nessun compleanno, c'era ad ogni pugno che ho preso e dato e c'era quando sono caduto e mi sono spezzato.
Non mi ha mai giudicato, mi è stata vicino e basta, anche se non lo meritavo, anche quando ho sbagliato, anche se non sono stato il bimbo che lei ha cresciuto. Forse questo mi avrebbe dovuto portare qui prima, forse questo avrebbe dovuto portarmi a comprenderla, perché io più di chiunque altro so che cosa significa sbagliare ma non volerlo fare davvero.
Ma ancora una volta la mia sofferenza mi ha reso egoista verso gli altri ed io, dopo la verità che finalmente ho saputo, ho guardato solo a ciò che sentivo. Alla mia rabbia, alla delusione, al rancore, al dolore. Non sono riuscito ad andare oltre le  bugie dette senza l'intento di ferire. Sono stato cieco, come dice Isa, a quello che è il dolore degli altri, perché se è vero che tutti hanno sbagliato io più di ogni altro non ce l'ho il diritto di giudicare.
Non ce l'ho il diritto di ferire per essere stato ferito.
Nessuno lo ha.

Chi ha sofferto lo sa che cosa vuol dire essere dall'altra parte mentre chi giudica non lo può sapere come fa male il suono del dolore.
Se lo sapesse non lo farebbe.
Ma invece succede, succede perché si è egoisti, perché quando una cosa non capita a noi il dolore non fa rumore. Lo vedi ma non lo senti, non davvero almeno. Ed è questo nostro essere egoisti a renderci insensibili.
Ed io lo sono stato insensibile, verso una persona che non lo ha mai meritato, che mi ha voluto bene e che è stata madre essendolo davvero.

Finalmente la mia mano sembra decidersi e afferro il mazzo di chiavi che ancora non ho lasciato, ma mentre apro il cancello più piccolo sento il rumore di due sirene arrivare di corsa e vedo il cancello grande spalancarsi.
Resto immobile, per un attimo mi ritorna in mente quella notte nera, illuminata solo dal blu di quelle maledette sirene. Sirene che possono portare verso una fine ma anche verso un inizio.

Dovrei entrare e guardare, solo che non ne ho il coraggio, il mio istinto mi dice che forse io al dolore che c'è dietro questo cancello non sono pronto.
E quando sento la voce di mia madre chiamare un nome che per troppo tempo ho deciso di dimenticare so che mi girerò, perché almeno questo per lei io lo devo fare.

"Arianna"

Ma lei non risponde, ha gli occhi chiusi, dorme, non ci sente.
I suoi capelli castani sono sciolti, più lunghi rispetto a quando l'ho vista l'ultima volta, ha ancora addosso quella stupida divisa da cameriera che il nonno ha sempre voluto lei indossasse, ma lei non è mai stata quello.
Lei è la mia famiglia. 

Mentre i medici la portano via con la barella io mi avvicino di corsa a lei e le prendo la mano.
"Arianna, sono arrivato, sono qui"
E mentre mia madre piange io sento un piccola stretta e so che Arianna è ancora qui con me.

L'ambulanza corre per cercare di arrivare e dare ad Arianna un nuovo inizio, io invece la guardo.
La guardo e vedo lei che mi abbraccia di notte e mi dice di non aver paura, che la luce arriverà presto e si porterà via il buio. E poi la vedo che prende delle cuffie, me le mette all'orecchio e fa partire quella canzone, quella che le piace tanto, quella che dice che bisogna imparare a sognare per vivere, quella che mi ha accompagnato nei miei sogni più belli durante le lunghe notti in attesa che arrivasse la luce.

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