Riccardo

69 12 11
                                    

Sono Riccardo, Riccardo Visconti.
Ho un nome, una famiglia, sono bello, sono ricco, non mi manca nulla, la mia vita è perfetta, non posso lamentarmi di nulla.
È così che all'esterno mi hanno sempre visto, ma le persone vedono solo quello che vogliono, si fermano all'apparenza, giudicano pensando di aver capito tutto di una vita che neanche conoscono. Ma il più delle volte sono talmente lontani dalla realtà che vorrei andare e urlarglielo che io ho un nome che odio perché è quello che mio padre ha scelto per me. Un padre che ha pensato più al suo interesse che a quello di suo figlio, andandosene quando ero ancora un bambino troppo piccolo per ricordarlo il suo volto.

Io ho una famiglia che famiglia non è mai stata. Mia madre è sempre stata troppo fragile e l'abbandono di mio padre l'ha spezzata, beve e si riempie di antidepressivi. Troppe volte fin da bambino l'ho vista tornare a casa non essendo sé stessa, troppe volte l'ho vista vomitare in bagno, troppe volte l'ho trovata svenuta in camera sua e spaventato ho chiamato aiuto. Ma ogni volta la storia era sempre la stessa, aveva bisogno d'aiuto ed io non sapevo come darglielo.
Mio nonno, che era venuto a stare da noi dopo che papà era andato via, non faceva nulla per lei, vedeva sua figlia distruggersi giorno dopo giorno e non muoveva un dito. Mi faceva una rabbia tremenda quell'uomo, sempre pronto a fare finta di spendersi per i più deboli, con laute donazioni a questa o quell'associazione benefica, ma pronto a chiudere gli occhi di fronte ai problemi evidenti di sua figlia.
Lui non poteva aiutarla, era troppo preso a gestire gli affari e a mantenere l'apparenza di una famiglia solida e perfetta, non poteva certo far sapere in giro che sua figlia era dipendente da farmaci e alcool. L'unica cosa che faceva per lei era farla sorvegliare quando andava in giro per bar, farla riportare a casa quando era troppo persa per farlo da sola, pagando affinché nessuno si facesse scappare i veri motivi dei suoi ricoveri sempre più frequenti.

Sono ricco, anzi, mio nonno lo è.
La sua famiglia lo è da sempre.
Sono i proprietari di una catena di ristoranti in tutta Italia e negli ultimi anni hanno iniziato con successo ad aprire dei locali anche all'estero.
I "Visconti" sono una famiglia tra le più conosciute, ammirata ed invidiata.
"Tutti vorrebbero essere noi", così mi diceva sempre mio nonno quando ero piccolo, insieme a tutte le cose che aveva in serbo per me e che avrei dovuto fare ed imparare. Ma io non volevo essere uno di loro, volevo solo essere me, non Riccardo Visconti. Quel cognome era sempre stato la mia condanna, fare parte di questa famiglia lo è.

Mio nonno è sempre stato duro con me, mai un abbraccio, mai una carezza. Solo rimproveri, punizioni e schiaffi, per ogni brutto voto, per ogni risposta sbagliata, per ogni volta in cui secondo lui l'avevo fatto vergognare di essere mio nonno.
Io dovevo essere perfetto, nessun errore, nessuno sbaglio era concesso, avrei solo dovuto percorrere la strada che lui aveva pensato per me. Prima la scuola, poi la laurea in economia ed infine la guida del "nostro impero".
Ma io non ho mai voluto guidare il "suo" impero.
Quella famiglia, i "Visconti", non l'ho mai sentita mia.
Quel cognome non mi appartiene neanche. Io avrei dovuto avere il cognome di mio padre, ma lui mi ha abbandonato senza voltarsi indietro e dopo di allora mio nonno è riuscito a farmi dare il suo. Non ho mai saputo quale fosse il cognome di mio padre, io ero troppo piccolo per ricordarlo e nessuno lo nomina mai, come se non fosse mai esistito.

Sono ricco, sono bello, ma mi manca tutto; una famiglia, l'amore, l'affetto. La mia vita non è perfetta, è una prigione che mi soffoca ogni giorno.

L'unica persona che si è presa davvero cura di me è stata Arianna, la cameriera che mi ha visto nascere.
Lei lavora per mio nonno da anni, mi è sempre stata vicina come mia madre non è riuscita a fare mai. È stata lei a rimboccarmi le coperte la notte, a leggermi le favole, a giocare con me, a farmi fare i compiti. È stata sempre lei ad avermi consolato dopo ogni schiaffo o rimprovero di mio nonno, dopo le sue urla in cui mi ripeteva che stavo diventando come quel vigliacco e fallito di mio padre. È stata l'unica a mostrarmi affetto, ma questo non mi impediva di sentire un enorme vuoto dentro che mi sta inghiottendo un giorno dopo l'altro.
Volevo scappare, essere qualcun altro ma non io, purtroppo però questo non era possibile e decisi di ribellarmi nell'unico modo che conoscevo. Brutti voti a scuola, uscite notturne, fare a pugni con gli altri ragazzi, fino all'espulsione da scuola.
Sentivo una rabbia incontrollata crescere dentro, contro i miei genitori  per avermi messo al mondo senza amore. Contro mio nonno per avermi fatto vergognare ogni secondo di essere nato, contro me stesso per aver dato a tutto questo la forza di distruggermi.

La mia rabbia però si è riversata su chi ha avuto la forza di starmi vicino nonostante tutto. Ho ferito una delle persone per me più importanti e l'ho fatto nel modo più meschino possibile, colpendo dove più fa male, al cuore. Sono stato un vigliacco perché l'ho fatto alle spalle, ho tradito la fiducia di Matteo che con me ci era cresciuto, avevo calpestato l'affetto del mio migliore amico, del fratello che avevo scelto.
È un tormento che non mi avrebbe mai abbandonato quello, così come la notte di novembre in cui avevo quasi spento una vita senza volerlo davvero.
Alexandria...
Il suo nome non l'avrei dimenticato mai, come avrei potuto farlo? Ho rischiato di strapparla alla vita troppo presto, di portarla via a chi l'amava davvero, a sua sorella, a sua madre, a Matteo.
Mi sono trasformato in un essere troppo vicino a mio nonno e troppo lontano da me stesso.

Mi sono perso, sono vuoto, sono un nulla, non vedo una via d'uscita per me, solo rabbia, dolore, senso di colpa, nessun futuro, nessuna speranza.
Ho deciso di spegnermi lentamente, non merito niente io, nessuno piangerebbe la mia assenza. Forse Arianna, ma dopo sarebbe  libera, senza nessun obbligo nei miei confronti.
Ho fatto vergognare anche lei quella notte. Mi è stata vicino sempre nonostante tutto, ma io so che non può tenere a me dopo quello che ho fatto. Io non sono nulla.

Sono passati i giorni, i mesi ed io non parlo più, non esco, mangio a stento, voglio solo smettere di svegliarmi tutti i giorni.
Ho aspettato che venissero ad arrestarmi, a buttarmi in carcere, seduto a terra nella mia stanza con la schiena appoggiata al muro. Ma non è mai successo.
E quando un giorno qualcuno ha bussato alla mia porta, non è stato per condannarmi, ma per perdonarmi, per darmi una speranza, una possibilità di vivere la vita provando ciò che non avevo provato mai. L'amore.
Alexandria e Matteo avevano trovato insieme la forza di perdonarmi, mi avevano mostrato una piccola luce di speranza che non vedevo più per me.
Mi avevano detto di vivere, di trovare la forza di perdonare me stesso, di prendere la mia possibilità, alzarmi da terra e cercare il Riccardo che volevo essere. 
Mi avevano detto che il perdono porta amore e me lo avevano mostrato, venendo da me e dandomi quella possibilità che non mi meritavo.
E anche se il dolore che sentivo dentro mi spezzava il respiro, io avrei l'avrei fatto, avrei provato a vivere,
nella speranza un giorno di trovare la forza di perdonare me stesso.

Sono Riccardo, solo Riccardo.
Ho un nome, non ho una famiglia, la mia vita non è perfetta, mi manca tutto e mi sono perso.

Oops! Questa immagine non segue le nostre linee guida sui contenuti. Per continuare la pubblicazione, provare a rimuoverlo o caricare un altro.
C'È IL MONDO DENTRO I TUOI OCCHIDove le storie prendono vita. Scoprilo ora