Ci sono io

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Riccardo

La nascita di Andrea è stato uno di quei momenti che difficilmente dimenticherò, e non lo dico per Isabella che non ha smesso un attimo di agitarsi lungo il corridoio dell'ospedale arrivando quasi a rompermi un braccio quando finalmente suo fratello è arrivato, ma perché eravamo tutti lì ad aspettarlo ed io per la prima volta mi sono sentito parte di una vita che ho sempre pensato non mi appartenesse davvero.
Io e Isa.
Suo nonno.
Alexandria e Matteo.
Mio padre.
Anche mia madre è passata. Ma io sono stato lontano da lei anche se mi sentivo i suoi occhi addosso sempre. E papà ha ragione, è diversa, l'ho guardata anche io e l'ho visto, non c'è più traccia della donna ubriaca che tante volte ho accompagnato a letto da bambino. Ora è una donna che cerca di ritornare alla vita, proprio come me, ma di avvicinarmi non me la sono sentita, non ancora.
E poi c'era lei.
Vanessa, mia sorella.

Da quando ho saputo la verità non mi sono preoccupato di lei. Ho pensato a me, al mio dolore, alla mia vita, a tutto quello che stavo perdendo e che poi ho ritrovato e lei l'ho lasciata da parte, come se non ci fosse, come se non esistesse, come se tutto quello che ho scoperto sulla mia vita non la riguardasse. Ma non l'ho fatto di proposito, non ero in grado di affrontare tutto insieme e ho deciso che era meglio così, che in fondo lei stava bene, che una famiglia ce l'aveva, che non era come me, che il fatto di avere lo stesso sangue alla fine non era così importante.
Ma poi Andrea è arrivato e ho visto l'emozione di Isa quando lo ha guardato la prima volta attraverso il vetro in ospedale. I suoi occhi erano bagnati di gioia. Quel bimbo così piccolo che agitava le sue manine in continuazione le era entrato dentro al cuore ancora prima di vedere la sua prima luce.
"Quello è il mio fratellino" mi ha detto, ed è stato lì che ho capito che essere fratelli è importante, non perché si ha lo stesso sangue ma perché è un legame che ti unisce per sempre a qualcuno, anche se non lo vuoi, anche se non lo sai, anche quando si è lontani.
E ci ho pensato a Vanessa, al giorno in cui è nata.
Non c'era nessuno qui per lei.
Nessuno l'avrà guardata attraverso lo specchio.
Nessuno avrà avuto gli occhi bagnati di gioia.
Era qui, sola.
Proprio come me.
Me che non c'ero, che non ho potuto farla entrare dentro al mio cuore ancora prima che lei vedesse la sua prima luce.
E quando mia sorella ha visto Andrea lo so che anche lei ci ha pensato a quel giorno. I suoi occhi erano lucidi e mi è sembrato di toccarla con mano la solitudine del giorno in cui è venuta al mondo. E non è vero che lei non è come me perché Vanessa è una parte di me, è mia sorella, un legame che ci ha unito anche se da lontano.

Così dopo quel giorno l'ho chiamata e le ho detto che doveva venire con me. Era sorpresa, ma non mi ha detto di no.
E ora sono qui che la sto aspettando.
Credo che non ci sia posto più adatto di questo.
Un posto che conosce il dolore ma anche la gioia.
Un posto dove chi entra non sempre sa se ne uscirà.
Un posto dove la vita finisce ma poi di nuovo inizia.

"Ciao" la voce di Vanessa arriva timida.
"Sei venuta" le sorrido.
"Ti ho detto che l'avrei fatto"
"Scusami" le dico fissandola.
"Non devi scusarti, non è necessario" abbassa lo sguardo però.
"Invece sì. Dopo tutto quello che è successo te sei stata l'unica della quale non mi sono preoccupato e ho sbagliato"
"Stavi male, hai pensato a te, non hai sbagliato e poi ciò che succedeva a me non è un tuo problema Riccardo"
"Non è vero invece e lo sai. Sei mia sorella Vanessa e mi dispiace di avere ignorato fosse così, di avere ignorato te"
Sì gira verso il vetro Vanessa, quel vetro che ci separa da vite appena sbocciate in questo ospedale dove le ho chiesto di venire.

"Perché siamo qui?" Mi domanda.
"Qui è dove tutto comincia. Qui è dove tu sei nata, qui è dove a guardarti oltre questo vetro non c'era nessuno. La conosco la solitudine e credo che tu, come me, ci abbia dovuto fare i conti troppo a lungo"
Poggia la mano sul vetro mentre guarda i bambini muoversi nei loro primi gesti.
"Neanche io lo sapevo sai? Nessuno me lo aveva mai detto che ero stata adottata, anche se forse questo non è il termine più adatto"
"Che cosa vuoi dire?" Se non è stata adottata come mai è cresciuta con i Lettieri? Come ci è arrivata fino a lì?
"La mia famiglia mi ha comprata Riccardo"
Quella frase mi gela.
"Comprata? Com'è possibile? Un paio di occhiali da sole si compra, ma le persone no. Le persone no" dico per convincermi, perché non voglio crederci che mia madre abbia potuto dare via sua figlia per soldi. Non è possibile.
"Sì, i miei genitori hanno pagato per avermi. Tuo nonno ha fissato un prezzo e loro lo hanno accontentato"
Lo sapevo, lui, sempre lui. Ha giocato con le nostre vite come se fossimo niente.
"E mia madre? Nostra madre?"
"Non lo so se lei lo sapeva, ma sicuramente ha lasciato che mi portassero via. Non ha lottato per me"
E queste sue parole le sento anche mie.
Il dispiacere che leggo nei suoi occhi lo conosco, è stato il mio per così tanto tempo. È il non sentirsi abbastanza per nessuno, neanche per chi dovrebbe amarti senza riserve né condizioni.
"Non ha lottato neanche per me. Non era in grado di farlo"
"Lo so, l'ho vista tua madre stare male ricordi?"
Sì, certo che me lo ricordo. E mi ricordo anche di averla cacciata malamente da casa mia quel giorno.

C'È IL MONDO DENTRO I TUOI OCCHIDove le storie prendono vita. Scoprilo ora