Non vedo me

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Esco dal ristorante dei Girardi più incazzato e sconvolto di quando sono entrato. Vedere Adriano mi ha fatto stare peggio di quanto io già stia. Non sono riuscito a dire o fare nulla di sensato, solo il vedere la sua faccia mi ha fatto risentire come quel bimbo spaventato dalla notte che sperava sempre che suo padre prima o dopo sarebbe arrivato per sconfiggere i suoi mostri nascosti nell'armadio e puntualmente invece doveva fare i conti con la speranza sfumata, la delusione provata ed un vuoto in cui si è annidato un rancore che non so nascondere.  
Non posso credere che mio padre sia Adriano, non posso credere che è stato così vicino, che nessuno, neanche una volta cresciuto, abbia pensato che io avessi il diritto di sapere chi fosse, dove vivesse e se si fosse dimenticato di me.
Ora mi ritrovo un uomo davanti che non conosco e non so se voglio conoscere. Avevo bisogno di un padre, ma ora è troppo tardi e Adriano mi provoca solo tanta rabbia per quello che poteva essere ed invece non è mai stato e mai sarà.
Lui non poteva avvicinarsi a me, ma davvero questo può bastare a colmare una mancanza durata una vita?
No, non può bastare, vorrei che fosse così ma non può.

Lì dentro non ho capito nulla, ho urlato e picchiato ma l'uragano che ho dentro non è passato, continua a muoversi e girare distruggendo tutto, distruggendo me.
Non trovo una via d'uscita, troppo il buio che mi sta avvolgendo e l'unica persona accanto alla quale avevo trovato uno spiraglio è troppo vicina all'uomo che sto odiando e troppo lontana da me che sto annegando.
Il mio passato mi sta rovinando, non mi lascerà mai in pace. Ora lo so e lo sa anche lei. Potevo farle del male prima, anzi le ho fatto del male. Non volevo, come sempre, eppure l'ho fatto lo stesso.
Nessuno può starmi vicino, nessuno. Odio la solitudine che è cresciuta con me eppure non so come si fa a stare accanto a qualcuno.
È la mia condanna questa.
Voler amare ma non saperlo fare.

Per l'ennesima volta in quest'estate afosa giro per le strade di questa città che sa tutto, troppo di me, senza una vera meta. Percorro strade, attraverso vie, guardo case che non sono la mia,  passo accanto al campo di calcio ma non entro, cammino e cammino.
Non sento nulla, non la stanchezza, non il caldo, neanche il cellulare che squilla di continuo, solo vado, non so dove, ma non posso stare fermo.
Troppi pensieri.
Troppi ricordi.
Troppe delusioni
Troppe assenze.
Troppe bugie.
Troppo dolore.
È tutto maledettamente troppo.
Vorrei solo lasciare andare tutto e non sentire più nulla, ma non so fare neanche questo.
Sento tutto.
Sento troppo.
Sento che sto crollando ancora...

Mi fermo un momento, guardo in alto e mi sento urlare: "Basta! Sono stanco. Ti prego basta!"
Non so a chi io mi stia rivolgendo. Non ho mai creduto a niente.
Nessuno mi ha mai insegnato a farlo.
E Dio non l'ho mai sentito davvero.
Troppe speranze deluse.
Troppe preghiere mai ascoltate.
Troppe lacrime amare.
Troppi silenzi mai colmati.
Ma ora, ora che niente vorrei se non una semplice tregua non posso fare a meno di guardarci verso l'alto.
Forse questa volta qualcuno lassù saprà ascoltarmi.
Forse saprà aiutarmi.
Forse mi porterà ciò che sto cercando.

"Riccardo!" Il mio nome gridato riporta il mio sguardo verso il basso, lì dove sto inesorabilmente andando.
"Sei in mezzo alla strada. Vuoi farti investire per caso?" E non la guardo questa voce.
"Se smettesse di fare così male perché no" e lo dico così, senza pensarci troppo, d'istinto, ma convinto che se smettesse di fare male non sentirei più nulla così come voglio.
"Non dire cose che non pensi, ti stiamo cercando da ore, vieni con me e spostati da qui"
Sento questa persona afferrarmi dal braccio e cercare di spostarmi dalla strada, mi spinge forte e mi costringe a guardarla mentre mi aiuta a non finire sotto una macchina.
Arriviamo su quello che sembra essere un marciapiede.
"Vanessa, lasciami in pace" mi libero dalla sua presa anche se mi gira la testa.
"Ti lascerò in pace quando saremo andati a sederci su una panchina. Non ti reggi neanche più in piedi" insiste ma non voglio il suo aiuto, non voglio l'aiuto di nessuno.
"Sto benissimo, te ne puoi anche andare" ma il mio corpo tradisce le mie parole e la testa mi gira ancora.
"Sì lo vedo! Dai vieni, andiamo all'ombra sotto quella panchina" mi allaccia un braccio attorno alla vita e con l'altra mano si porta il mio braccio sulle sue spalle.
È più bassa di me Vanessa per cui facciamo fatica a camminare insieme fino alla panchina, che si trova lungo il marciapiede sotto l'ombra di un albero.

C'È IL MONDO DENTRO I TUOI OCCHIDove le storie prendono vita. Scoprilo ora