Non me ne accorgo

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Sono passati pochi giorni da quando ho letto tutte le cartoline e gli stralci di lettere che mio padre mi ha inviato per tutti gli anni in cui è stato lontano.
Nessuna di quelle parole potrà mai colmare il vuoto e l'assenza che ho sentito per diciotto lunghi anni. Troppo dolore ho assaggiato.
Troppo disgusto ho provato per quelli che dovrebbero essere i miei genitori, per quelli che avrebbero dovuto amarmi incondizionatamente. Ed invece niente di quell'amore è mai arrivato, ma solo la convinzione di non essere abbastanza per nessuno, neanche per loro.
Ma quelle lettere scritte nero su bianco mi hanno permesso di liberare il dolore che ho sempre lasciato dentro a logorarmi. Non ho mai permesso a nessuno di vederlo neanche a Matteo o ad Arianna. Nessuno doveva sapere.
Nessuno poteva aiutarmi.
Nessuno a parte mio padre.
Solo lui avrebbe potuto far scoppiare il dolore, solo lui avrebbe potuto insegnarmelo come si fa ad essere me stesso. Solo Riccardo.
È alla fine è successo, quel dolore è scoppiato.
Mio padre è arrivato con le sue parole ed io non ho più potuto tenere tutto dentro. Sono esploso con lacrime per troppo tempo trattenute e che ora con forza si sono liberate.
Ed in quelle gocce che cadevano dagli occhi c'era tutto il tempo passato e non veramente vissuto.
C'era mia madre ed il preferire un bicchiere a suo figlio.
C'era mio nonno bravo a colpire tutte le volte dove faceva più male.
C'era Arianna che mi ha cresciuto, mi ha amato, ma poi mi ha anche mentito.
C'erano Claudio e Liliana che mi hanno fatto sentire a casa quando io pensavo di non averne una.
C'era Matteo e la mia incapacità di dirglielo che gli ho sempre voluto bene.
C'era Alexandria che mi ha mostrato come l'amore va oltre il dolore.
C'era mio padre e la sua assenza.
Quella che me lo ha fatto odiare ma che mai mi ha fatto smettere di sentire la sua mancanza.
Che poi a pensarci sembra buffo.
Alla fine io non ho mai saputo cosa significasse avere un padre.
Allora come si fa a sentire la mancanza di qualcosa che non hai mai avuto?
Non so rispondere a questa domanda. So che è successo e succede, perché ho sentito la mancanza di mio padre ogni giorno fino ad oggi.
Non sapevo cosa volesse dire essere figlio, ma la gioia negli occhi degli altri me lo ha sempre detto che doveva essere un affetto grande.
Uno di quelli che ti marchia l'anima, che ti scrive sul cuore con una penna il cui inchiostro non potrai mai cancellare.
È un affetto che non smetti mai di desiderare.
Un affetto che non smette mai di mancare.

E nelle mie lacrime c'era anche lei.
Isabella.
Lei che mi ha voluto.
Lei che mi ha cercato.
Lei che mi ha trovato.
Lei che mi ha amato.
Lei che mi stringeva.
Lei che mi abbracciava.
Lei che piangeva con me.
Lei che per la prima volta mi ha fatto sentire abbastanza.
Lei, la prima che ha visto tutto il mio dolore ed è qui con me lo stesso.
Non mi molla.
Non se ne va.
Resta.

Oggi sono passati tre giorni da quando quelle lettere si sono scritte nel mio animo anche se forse lo sono sempre state, ma solo leggendole me ne sono reso conto.
Ci sto pensando di incontrarlo mio padre.
So di averlo già fatto.
Ma le altre volte non sapevo chi fosse.
Le altre volte era solo Adriano.
Un pizzaiolo bravo, di poche parole e anche un fottuto impiccione.
Ma ora è diverso.
Ora so chi è.
Se deciderò di incontrarlo sarà la prima volta.
Se deciderò di incontrarlo sarà reale.
Se deciderò di incontrarlo sarà mio padre.

Il rumore di una macchina mi distrae dal mio pensare e quando lo sportello sbatte un sorriso mi esce spontaneo.
"Non ridere che le prendi" mi dice lei appena mi vede.
"Non puoi sapere quello che sto pensando" mi avvicino mentre lei cammina verso di me.
"Lo so benissimo invece e sappi che di solito non sono così imbranata"
E ripensare al giorno prima è inevitabile.

Eravamo alla casa famiglia con gli altri ragazzi a pulire la cucina quando ad un tratto abbiamo sentito Isabella chiedere aiuto dal giardino. Ci siamo precipitati fuori e la scena che ci si e presentata davanti era a dir poco esilarante. Isabella e Ivan erano alle prese con il sistema di irrigazione automatico che spruzzava acqua da tutte le parti. Si stavano facendo la doccia mentre Isabella tentava in tutti i modi di fermare il sistema evidentemente difettoso perché di spegnersi non ne voleva sapere. Gli altri ragazzi invece di aiutare si sono buttati sotto il gettito dell'acqua senza ascoltare Isa che chiedeva una mano. Io mi sono avvicinato a lei ma solo per tirarla dal braccio e farla bagnare insieme a me: "Isa te la do io una mano ma ora lasciati bagnare, guarda come si divertono i ragazzi, fa troppo caldo oggi. Lasciali rilassare cinque minuti"
Lei mi ha guardato tutta corrucciata, sembrava quasi arrabbiata: "Giuro che di solito non sono così imbranata" invece era solo preoccupata di aver fatto la figura della stupida.
Così l'ho tirata a me e l'ho baciata sotto gli occhi degli altri ragazzi che ci guardavano.
"Io invece non smetterei di baciarla la mia imbranata"
"Sì certo come no. Sono tutta fradicia"
L'avevo stretta più forte e le avevo sussurrato:
"Non hai idea di quanto tu stia bene tutta bagnata. Se potessi attraverserei ogni  centimetro della tua pelle con le mie labbra ora"
Isa aveva spalancato gli occhi ed era diventata tutta rossa ma non aveva risposto.
"Ehi, la smettete voi due di fare i piccioni oppure no?" Chiese Ivan e tutti scoppiammo a ridere.
"Piccioncini, si dice piccioncini Ivan. Quali piccioni" rispose Francesco tra le risate di tutti.
E iniziammo a giocare e fare gli stupidi sotto l'acqua finché non era arrivato Carlo a riprenderci tutti.
È stato divertente essere sgridato come un bimbo, un bimbo che in fondo non sono mai stato.

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