SKELETON IN THE CLOSET; PARTE UNO (GRACEY)

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"Theodore, sei tu?" domando in un sussurro; non ricevo alcuna risposta dalla figura appoggiata alla porta e così allungo la mano destra, alla ricerca dell'interruttore della luce, e quando lo trovo capisco il perché del prolungato silenzio: l'ex compagno di mia madre si regge in piedi a fatica, ha le palpebre serrate, così come le labbra, ed è in preda a quello che sembra essere un dolore atroce e insopportabile "Theodore... Che cosa ti è successo?".

In tutta risposta lui scivola a terra e, con orrore, vedo il muro alle sue spalle macchiato di sangue fresco; mi precipito a suo fianco, m'inginocchio sul pavimento e trattengo il fiato non appena i miei occhi notano il piccolo foro che ha sulla giacca, in corrispondenza della spalla destra: tutt'attorno la stoffa è impregnata di liquido scarlatto, dall'odore ferroso, e si formano delle chiazze anche sulla maglietta e sui pantaloni che indosso.

"Spegni la luce. Aiutami ad alzarmi. Forza, non ci riesco da solo" mormora, a denti stretti, ed ogni parola sembra costargli uno sforzo sovrumano; obbedisco alla sua richiesta, lo aiuto ad alzarsi ed a fatica ci spostiamo nel salotto, ma quando siamo a pochi passi dal divano scuote la testa "no, non qui. Non voglio che Ben mi veda in queste condizioni. Portami in camera"

"Non sei in grado di salire le scale"

"Ti ho detto di portarmi in camera".

Benjamin compare dalla cucina, attirato dalla nostra discussione, ed i suoi occhi chiari si spalancano alla vista delle condizioni in cui versa suo padre, in un'espressione che deve essere il riflesso della mia; prima che possa dire qualunque cosa lo precedo per tranquillizzarlo, e per evitare che possa rimanere vittima di un attacco d'asma.

"Ben, va tutto bene, non ti preoccupare. Resta qui, tuo padre ha bisogno di riposare adesso" dico con voce calma, riuscendo perfino a trovare la forza per sorridere; il ragazzino annuisce, ci lancia un'ultima occhiata e poi torna nell'altra stanza insieme a Meg.

A fatica riesco a condurre Theodore nella sua camera da letto, lo aiuto a sedersi sul bordo del materasso e, con estrema delicatezza, gli sfilo la giacca e faccio lo stesso anche con la camicia; dalle sue labbra non esce un solo gemito e la sua voce è ferma quando mi chiede di verificare le condizioni della ferita.

"Il proiettile è ancora dentro?"

"Io non... Non lo so..."

"Guarda, ho bisogno di saperlo".

Deglutisco a vuoto e mi sforzo di osservare con cura la ferita.

"Sì, il proiettile c'è ancora... Non puoi rimanere qui in queste condizioni, chiamo subito un'ambulanza"

"No, tu non farai nessuna chiamata"

"Ma... Theodore... Hai un proiettile incastrato nella tua spalla e continui a perdere sangue, hai bisogno di andare in ospedale il prima possibile! Non si tratta di un taglio superficiale che puoi curare con del disinfettante ed un cerotto" tento di convincerlo per la seconda volta, ma è tutto inutile, perché quando provo ad allontanarmi per andare a prendere il mio cellulare, lui mi blocca, afferrandomi il polso destro, lasciandomi senza parole.

"Non ti ho chiesto quale fosse la cosa migliore da fare in questo momento, e non ti ho neppure chiesto di chiamare un'ambulanza. Non ho alcuna intenzione di andare in ospedale e la ferita non è così grave come può sembrare ad una prima occhiata. Credimi, Gracey, mi sono trovato in situazioni ben peggiori di questa in passato. Vai in bagno e prendi la cassetta del pronto soccorso che c'è nel mobiletto vicino al lavandino, poi scendi in cucina, prendi una pinza e sterilizzala sopra alla fiamma del fornello. Quando avrai fatto tutto questo torna subito in camera. D'accordo?"

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