MASKS; PARTE UNO (THEODORE)

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A volte un uomo non può fare altro che arrendersi a ciò che il destino ha in progetto per lui.

Anche se questo progetto consiste in una chiamata improvvisa che scuote la tua intera routine e che ti trascina in una vera e propria follia, esattamente come accade a me una mattina, dopo aver accompagnato Ben a scuola in perfetto orario.

"Tesoro!" esclamo, con un sorriso, rispondendo alla chiamata "sono davvero contento di sentirti. Sai, dopo il nostro ultimo incontro credevo che non avrei mai più avuto notizie su di te. Anzi. Temevo di leggere della tua scomparsa su tutte le prime pagine del giornali, già immaginavo i titoli: figlia dell'ex governatore dell'Illinois scomparsa misteriosamente, la polizia brancola nel buio. Si cercano indizi nel suo passato da tossicodipendente"

"Mi ha chiamata Lincoln" m'informa Sara, ignorando la mia battuta, parlando velocemente e senza riprendere fiato "ha detto che Michael è stato avvelenato e ha bisogno di una trasfusione di sangue il prima possibile, o potrebbe non farcela. Sto andando da lui"

"Aspetta... Aspetta... Aspetta... Cosa? Che cosa stai per fare? Dove sei ora?"

"All'aeroporto, sto aspettando il volo, non posso parlare ora. Mi sembrava giusto informarti visto che siamo entrambi coinvolti".

Senza aggiungere altro, Sara interrompe la telefonata ed io mi ritrovo a fissare lo schermo del mio cellulare.

Il primo pensiero che riesco a formulare riguarda l'ultimo misterioso biglietto che ho ricevuto da Kaniel Outis, quello attaccato al parabrezza della Mustang nera, e vedo quelle parole imprimersi nella mia mente, come un sinistro presagio scritto con dell'inchiostro scuro, al quale io, mio malgrado, non posso sottrarmi: 'goditi tutto questo, Teddy. Capirai da solo quando arriverà il momento di ricambiare il favore'.

E temo che quel momento sia proprio arrivato, anche se significa compiere un'azione difficile e dolorosa: allontanarmi da Benjamin senza avere la certezza di rivederlo nuovamente.

Dentro di me maledico Scofield ed il suo tempismo tutt'altro che perfetto.

L'avessi saputo prima, avrei salutato mio figlio in modo diverso prima di lasciarlo entrare a scuola.

Ma, esattamente come dice un vecchio detto, è inutile piangere sul latte versato, e così percorro velocemente l'ultimo tratto che mi separa da casa e, mentre infilo dei vestiti dentro un vecchio e logoro zaino (lo stesso che mi ha accompagnato nel mio primo viaggio a Donaldson, cazzo), chiamo l'unica persona si cui mi fido ciecamente, ed a cui posso affidare Ben durante la mia assenza: Gracey.

La prego di raggiungermi il prima possibile, senza aggiungere altro, e lei si presenta nella mia camera da letto neppure una decina di minuti più tardi, senza fiato a causa della corsa che deve aver fatto.

"Stai partendo?" mi domanda, allarmata.

"È successo un casino" dico, e senza preoccuparmi di nasconderlo mi sposto in bagno per prendere la pistola, controllare con accuratezza che sia carica, e riporre anche quella dentro lo zaino; Gracey spalanca gli occhi alla vista dell'arma e poi mi sommerge di domande, una più carica di preoccupazione dell'altra.

"Perché hai appena preso la pistola? Che cosa è successo? Di quale casino stai parlando?"

"Io... Devo assentarmi da Chicago per qualche giorno, forse perfino per una settimana" mormoro, passandomi la lingua sulle labbra secche "non so ancora per quanto tempo starò via, ma devo partire subito, ho il volo tra poche ore, e non posso lasciare Ben insieme ad una baby-sitter. Ecco perché ti ho chiesto di venire subito qui, Gracey, sei l'unica persona a cui posso chiedere questo favore: ho bisogno che ti occupi di mio figlio durante la mia assenza. Scusami per il poco preavviso, ma come ti ho già detto si tratta di un'emergenza".

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