Due (+Epilogo)

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Jimin era nato numero zero.

La verità del suo status gli era stata chiara sin da quando era bambino e per quanto tutti lo trovassero strano, spiacevole persino, non era stato così per lui allora. La sua sua famiglia non glielo aveva mai fatto pesare e, nonostante le preoccupazioni che sicuramente sua madre e suo padre serbavano in cuore, i suoi genitori avevano amato i due figli, uno destinato ad essere un numero due l'altro un numero zero, allo stesso modo. E siccome dai suoi genitori, a suo fratello fino al suo cane, era rimasto sempre il solito sbadato e terribilmente cocciuto Jimin, lui era cresciuto con la consapevolezza di aver caratteristiche diverse ma senza per questo odiarle. Era un numero zero. Per Jimin era come se gli avessero detto che i suoi capelli erano effettivamente neri.

Tuttavia crescendo Jimin si era reso conto che quello che per lui poteva non avere peso lo aveva per il resto del mondo. Era un modo di pensare alieno, un concetto che non avrebbe mai compreso. Uno a cui tuttavia non era indifferente. Lui si sentiva intero, lui si sentiva giusto eppure tutti pretendevano di affermare il contrario.

“Essere numeri zeri è la peggiore delle disgrazie,” dicevano. Jimin non voleva essere una disgrazia e non si sentiva tale. Per quanto suonasse ingenuo alle sue stesse orecchie, perché era qualcosa che nessuno mai gli aveva assicurato, semmai il contrario, Jimin era convinto che solo perché là fuori non c'era qualcuno che avrebbe combaciato perfettamente con la sua persona, ciò non voleva dire che lui non potesse essere felice. Che solo perché non gli veniva assicurato di essere amato non voleva dire che lui non potesse amare. Era questa sua convinzione l'anima dei suoi sorrisi.

Era ingenuo. Forse solo tremendamente idealista.

Jimin si era innamorato, ricambiato, all'età di quindici anni. Le conseguenze di quell'incontro sebbene avessero cementato la sua convinzione avevano infine finito col distruggere la sua innocenza. Non era una questione di sperimentare amore. Era una questione di sperimentare le sue brutture. Perchè chi sa che il suo legame non verrà mai messo in discussione non lo avrebbe mai potuto capire, non avrebbe mai sperimentato il dolore della perdita.

“Non verrà Park è inutile che aspetti,” disse qualcuno da qualche parte alle sue spalle. Qualcun altro rise di gusto come se i suoi sentimenti calpestati fossero lo spettacolo più divertente.

“Guarda che faccia. Guardate la sua faccia! Dite che si metterà a piangere?” Altre risate.

“Non dovrebbero chiamarle lacrime di coccodrillo ma lacrime di numeri zero.” Qualcun altro ebbe la stupidità di dire. Un'altra sequenza di risate.

Jimin si infilò gli auricolari per non ascoltarli. Le loro parole non importavano, era una sua decisione quella di rimanere lì ad aspettare, doveva pur contare qualcosa. Dopo un po' i ragazzi si stancarono di rimanere sui gradini della scuola a prenderlo in giro e Jimin ne sarebbe stato contento se non fosse stato che avevano ragione. Non comparve nessuno dietro l'angolo. Era solo.

Fino al giorno in cui riuscirai a dire basta.

Lo amava, Jimin amava, ma nessuno gli aveva detto che si poteva amare anche le cose che ferivano, perché nessuno avrebbe potuto dirglielo. Era un segreto dei numeri zero e i numeri due lo sapevano ma non avrebbero mai capito. Si limitavano a disprezzarli per la loro sofferenza.

A stasera.

Promesso.

Erano parole dette un miliardo di volte, scritte un miliardo di volte e un miliardo di volte erano state vane. Jimin era rimasto lì ad aspettare qualcuno che non sarebbe venuto, allora come tre anni dopo.

Perchè fai questo a te stesso? Seokjin gli aveva chiesto, prendendolo per le spalle, cercando una reazione da lui.

Jimin guardò per ennesima volta l'ora. Non sarebbe venuto. Fu come svegliarsi da un sogno e capire che era la realtà il vero incubo, comprendere i dettagli del tutto e non poterlo sopportare. L'amore, non poteva essere quello l'amore. Basta. Basta. Ora basta.

Un mondo per noi dueDove le storie prendono vita. Scoprilo ora