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(REVISIONATO)

Com'era successo?

Come aveva fatto lui a cambiare in pochi giorni tutto ciò in cui io, fino a qualche mese prima, ero fermamente convinta? Come diavolo ci era riuscito dal momento che non lo aveva mai fatto nessuno?

Gli presi la palla dalle mani, mi rigirai per poi fingere di andare a destra. Lui provò a bloccarmi quando cambiai direzione, eppure le mie gambe si mossero da sole su quel parquet di legno. Arrivai quasi a lato del canestro e con un lancio, di quelli che mi aveva insegnato lui, centrai il canestro.

Battei le mani dalla felicità, avvicinandomi con saltelli di gioia alla panchina. Mi sedetti, bevvi qualche sorso dalla borraccia e poi lo indicai con l'indice della mia mano sudata. «Ti sto facendo il culo Mancini.» chinò la testa per poi portarsi con la mano i capelli lontano dagli occhi.

Prese posto al mio fianco, rubandomi la borraccia.

«Perché sono un ottimo coach ovviamente.» lo spintonai con il gomito mentre deglutiva, mi dedicò uno sguardo omicida non appena ripresi la palla e portai a termine un tiro libero da quella distanza.

Era passato un mese dalla partita con la South State e le cose sembravano migliorare di minuto in minuto. Certo non mi scriveva né si faceva sentire con una chiamata, ma mi cercava sempre al termine delle lezioni per farmi promettere di aspettare il termine dei suoi allenamenti per incontrarci.

Avevo più e più volte cercato di rifiutare perché non volevo stressarlo ulteriormente, eppure sembrava non stancarsi nemmeno. Quel giorno però non fu lo stesso.

Mi voltai verso di lui, mi sedetti sul parquet davanti alle sue gambe e circondai le sue caviglie - fasciate dai calzini bianchi - con le mie dita. Il mezzo sorriso che mi lasciò, fece contorcere ogni mia viscera e la visuale che mi si presentava davanti mi faceva impazzire.

Si piegò, appoggiando i gomiti sulle ginocchia, accorciando involontariamente le distanze tra i nostri volti. Dalla fronte scivolavano gocce di sudore che gli delineavano tutti i lineamenti, i suoi occhi si chiusero lentamente e il suo petto si sollevò in un respiro profondo.

«Che hai?» iniziai a creare immaginari cerchi lungo la sua pelle coperta mentre il mio sguardo si infuocò quando vidi l'espressione stremata del suo volto. Odiavo vederlo in quel modo, così abbattuto.

«Nulla.» una ciocca di capelli gli ricadde sull'incavo del naso, senza pensarci la afferrai tra l'indice e il medio e presi a giocarci mentre i suoi occhi - caratterizzati da un fascio di chiarezza che rendeva il nero un rossastro tendente al marrone - si puntarono sul mio volto.

Sospirò. «Sono stressato.» con le mani avvinghiate alle sue caviglie, mi feci più vicina a lui. «Il coach Carter richiede troppe cose e fatte al meglio, la scuola mi uccide ogni giorno di più, il diploma si avvicina e la mia famiglia... non ne parliamo nemmeno. Mi sento soffocato.» scossi la testa.

«Sai che me ne puoi parlare, siamo qui anche per questo.» ammisi con tono calmo e un sorriso delicato. «Ma se ti senti oppresso ora, sai che non sei obbligato a farmi da coach. Ormai sono anche migliore di te.» vidi le sue fossette abbozzarsi e un milione di brividi mi percorsero la spina dorsale.

«Come se fosse questo il problema.» mi morsi il labbro inferiore mentre lui prese a gesticolare, enfatizzando la sua spregevole situazione. «Vorrei solo che qualcosa si sistemasse e invece le cose sembrano peggiorare.»

«Cos' è che peggiora?» chiesi, curiosa. «Perché ai miei occhi sembra che tu abbia sempre tutto sotto controllo.» scosse la testa, portandosi nuovamente la borraccia alla bocca e appoggiando la schiena al muro della palestra. «Sai... Io credo che le persone che ti stanno attorno, non si aspettino da te sempre grandi cose. Magari il coach, forse è l'unico.»

Per Sempre TuaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora