➵ Capitolo 9

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Josephine
«Aspetta qui» dice tornando dentro il locale.
Sospiro.
Perché mi sono messa in questa situazione?
Perché mi ha chiamata noiosa, eccolo il perché, diamine!
Non fa piacere sentirsi definire noiosa, certo mi conosce poco, ma ad essere sincera non ha tutti i torti.
Non sono molto impulsiva come tutti quelli della mia età, anche se lo vorrei. Ho avuto solo un ragazzo nella mia vita e si è avvicinato lui a me. Nella coppia era lui con le idee strampalate mentre io ero quella che lo riportava sulla retta via.
Anche tra le mie amiche a Nashville, ero la più calma.
Anche quando volevo fare una pazzia ogni tanto, le mie amiche non erano in vena così la mia idea si scioglieva come neve al sole.
Giselle mi sembra una ragazza molto spontanea, quindi credo che con lei forse riuscirò ad aprirmi di più.
Non è da me accettare un invito ad uscire così su due piedi e poi da un ragazzo così arrogante e presuntuoso.
Ed è anche per questo che ho accettato, mi sono voluta mettere alla prova.
Non sono noiosa e te lo dimostrerò.
Mentre mi ripeto questa frase nella testa ritorna Axel porgendomi una giacca a vento color verde acido.
«Non ti sei proprio mossa eh» dice sorpassandomi.
Lo seguo, starà andando verso la moto.
«Di chi è?» chiedo infilandola.
Ha un netto profumo maschile, che mi sembra quasi familiare.
Ma potrei sbagliarmi.
«È di Reed» dice come se nulla fosse.
Spalanco gli occhi.
«Sei sicuro che non gli serve?» chiedo per sicurezza infilando le mani in tasca.
Sento un pezzo di carta probabilmente uno scontrino di qualche posto.
Tolgo le mani dalle tasche a disagio.
«Ne farà a meno» dice girandosi a guardarmi. Poi torna a guardare davanti a se.
Arrivati davanti alla sua moto, apre il sellino e tira fuori due caschi.
«Tieni sempre un casco dietro per la fortunata ragazza della serata che ti porterai a casa?» chiedo piccata.
Non mi dimentico certo i rumori che arrivano da camera sua nel cuore della notte.
Lui ridacchia e sorrido.
Ha riso a una mia battuta, non sono poi così noiosa!
Mi guarda negli occhi ritornando serio e mi si rivolta lo stomaco.
«Hai detto fortunata ragazza?» chiede.
Divento subito rossa, accettando il casco che mi porge.
«Non in quel senso» dico.
«Ti senti fortunata qui con me?» chiede come se nulla fosse, girando intorno alla moto per salirci sopra.
Io mi allontano dandogli modo di uscire dal parcheggio.
«È un modo di dire» dico incrociando le braccia.
Lui si gira guardandomi.
Non mi invita a salire, mi guarda e basta.
Muove la mano facendo ruggire il motore.
«Mi piace questo modo di dire, mettiti il casco e sali» dice cambiando argomento.
Con la testa bassa, salgo dietro tenendo una mano sulla sua spalla e una intorno alla sua vita. Toccando il minimo indispensabile per non cadere.
«Dove andiamo?» chiedo di nuovo.
Non conosco Memphis, ma sarebbe bello sapere dove ha intenzione di portarmi.
In modo che se mi lascia lì.. come un vero cafone, so che via dire al taxi.
«Nel mio posto preferito, reggiti forte Sunshine» dice.
Quando parte stringo entrambe le braccia intorno al suo busto e appoggio la guancia sulla sua schiena.
L'aria che sferza intorno a noi è fredda ma il mio corpo quasi non la sente.
Poco dopo, ci fermiamo.
Levo le mani dai suoi fianchi e mi guardo intorno.
Siamo davanti a un cancello chiuso.
«Cos'è?» chiedo scendendo.
Lo guardo, togliendomi il casco dai capelli.
Ho i capelli tutti schiacciati, li scuoto.
«John F. Kennedy Park» dice mettendo il cavalletto della moto e scendendo.
Si toglie anche lui il casco appendendolo al manubrio.
Guardo di nuovo il cancello.
«È chiuso» dico indicandolo.
Non so che ore siano.
Ma è notte fonda, la luna che stanotte è piena illumina tutto intorno a noi come una grande lampadina.
Lui aggrotta la fronte.
«Non pensi in maniera creativa Sunshine» dice tirando fuori dalla tasca un paio di chiavi.
Non saprei dire quante chiavi ci sono, forse una decina se non di più.
«Hai la chiave del lucchetto del parco?» chiedo spalancando la bocca.
Lui mi sorride a labbra strette e va verso il cancello.
«Com'è possibile?» chiedo appoggiando il casco sul sedile dalla moto, ma prima mi guardo intorno per essere sicura che intorno a noi non ci sia nessuno. Dopotutto anche lui ha lasciato il casco senza nessuna protezione.
Lo seguo.
Ci sono due lucchetti con una catena che tengono chiusi i due battenti di metallo del cancello.
Lui li apre entrambe e poi entriamo.
Ho il cuore a tremila.
Stiamo facendo qualcosa di illegale?
«Perché siamo qui?» chiedo.
Lui fa spallaci chiudendo il cancello dietro di noi.
«Così se urli nessuno ti sentirà» dice facendo un sorriso sadico.
Gli do un pugno sulla spalla e lui ride.
«Wow un pugno» dice sorpreso.
«Non è divertente» dico, sento il viso e il collo mi diventano rossi.
Dopotutto chi me lo dice che non è un maniaco?
«Per me lo è» dice.
Sospira.
«È il mio posto preferito, qui non ci sono i rumori della città si può parlare in totale tranquillità» dice.
Inizia a camminare ma io non lo seguo.
«Così mi puoi dimostrare che non sei noiosa» dice continuando a camminare, senza guardarmi.
Dentro di me c'è una vocina che mi dice che c'è un secondo fine, c'è sicuramente un secondo fine.
Così mi incammino dietro di lui stringendomi nella giaccia di Reed.
Sento dei rumori di uccelli notturni intorno a noi che mi fanno accapponare la pelle.
Mi metto affianco a lui.
«Hai già guadagnato un punto per essere qui» dice girandosi per guardarmi.
«Ti ringrazio» dico ironica.
«Ora corri» dice.
«Cosa?» chiedo allarmata.
Lui mi afferra la mano e mi tira iniziando a correre.
Vedo dietro di noi una luce, sembra di una torcia.
Oh merda.
Sarà il sorvegliante del parco!
Corro con lui, ma perdo velocità dopo pochi metri.
Non sono proprio una fan della corsa.
Anche lui si ferma con me, girandosi per vedere se ci ha notati.
Non vedo nessuna luce e mi tranquillizzo.
«Stiamo facendo qualcosa di molto illegale» dico più a me stessa che a lui.
Sono preoccupata che ci possano beccare eppure dentro di me c'è una strana scintilla a cui non so dare un nome che mi spinge a non fermare questa cosa.
«Benvenuta nella mia vita, Sunshine» fa un mezzo inchino e poi mi fa un cenno della testa che mi incita a inseguirlo.
«Non mi piace quando mi chiami così» sussurro standogli dietro.
È inutile che glielo dico ad alta voce.
Sta continuando con questo stupido nomignolo e mi chiedo se lo faccia solo per irritarmi o perché non si ricorda come mi chiamo.
Davvero frustrante.
Arriviamo davanti un piccolo parco giochi ma è tutto buio e i giochi li vedono a malapena.
Mi fermo.
«Non si vede niente».
È stata un'idea stupida venire qui.
Lui mi guarda poi inarca un sopracciglio e va avanti.
I lamponi vicino ai giochi si accendono all'improvviso.
Apro leggermente la bocca.
«Luci automatiche» dico avvicinandomi.
Sale le scalette della casetta, che porta allo scivolo, si siede e mette le gambe a penzoloni a un metro da terra.
Appoggia i gomiti sulle ginocchia e si tiene la testa con entrambe le mani.
«Parlami un po' di te» dice tenendo gli occhi su di me.
È una domanda semplice a cui si può rispondere in un sacco di modi.
Peccato che tutti i modi che mi vengono in mente per descrivermi mi farebbero sembrare noiosa ed io sono qui per dimostrare il contrario.
«Sono molto di più di quello che dimostro di solito» dico di getto. Inizio a camminare nel parco fino ad arrivare a quel gioco circolare dove ci si siede in circolo e muovi il manubrio in mezzo per farlo girare.
«Di più tipo?» chiede.
«Del tipo che mi piace ballare ma non l'ho mi fatto in pubblico, perché non ho mai avuto la sicurezza di farlo» dico poi mi fermo per vedere la sua espressione.
«Perché?».
«Cosa?» chiedo aggrottando la fronte.
«Perché ti senti insicura?» chiede ancora.
Si alza e mi viene incontro.
«Ho visto come ballavi, non c'è niente di cui vergognarsi» dice.
Certo, uno come lui non può capire.
Non si è mai sentito in difetto per qualcosa.
Mi piacerebbe anche a me essere nata sicura di me stessa e a prescindere da tutto, fare quello che mi rende felice.
Ma l'opinione degli altri è sempre stata al di sopra di tutto.
«Dovresti provare a lasciarti andare» dice sedendosi sul gioco vicino a me.
Prende il manubrio e inizia a far girare il gioco.
Mi tengo salda al manubrio e giro con lui.
«Tu invece?» chiedo.
Lui non risponde.
«Non funziona così, io faccio le domande a te e tu rispondi non il contrario» dice.
La ruota va lentamente quindi riesco a scrutare il suo viso.
Non può esser serio!
«Non lo trovo corretto» dico subito.
«Io sì, devo conoscerti» dice fermando il gioco.
«Perché?» chiedo.
Il mio stomaco fa un balzo.
«Devo conoscere la babysitter di Benjamin, devo sapere se posso fidarmi di te» dice.
Ecco spiegato tutto..

Axel
Non è tutta la verità.
Okay, è la babysitter di Benjamin.
Ma voglio conoscerla bene semplicemente  perché mi va.
Non mi piace dare spiegazioni quindi avrà una mezza verità.
Il suo viso si apre in un sorriso e poi in una risata.
«Quindi è per questo che mi hai detto che ero noiosa? Per sapere qualcosa in più su di me dato che sono la babysitter di Benjamin?» chiede alzandosi sul gioco.
«Credevi che ti volessi portare a letto?» chiedo ironico.
«Io me le scopo con più tette» dico sorridendole subdolo.
Lei spalanca leggermente la bocca e poi la chiude di scatto.
Si porta le mani sulla canottiera tirandosi in su il tessuto per coprirsi di più il seno.
È inutile che le copri ora tesoro, ho già notato che non hai il reggiseno.
«Pensavo fossi diverso ma mi sbagliavo tu sei esattamente come fai vedere alla gente» dice.
«E come sono, sentiamo?» dico. Inizio di nuovo a girare il manubrio e lei è obbligata a sedersi si nuovo.
«Un ragazzo troppo sicuro di sè stesso..» faccio scivolare il sedere più vicino a lei e si ferma dal parlare.
«Continua» dico.
Lei torna a guardare davanti a se. «Egocentrico, spaccone..» dice ed io mi avvicino ancora.
Lei si ferma di nuovo.
«La smetti?» dice guardandomi dallato verso il basso.
Ormai siamo fianco a fianco.
«No perché anch'io come dici tu, sono molto di più di quello che faccio vedere» dico duro.
Mi avvicino al suo viso tenendo gli occhi incatenati ai suoi.
«Adesso è meglio se andiamo a casa» dico.
Mi alzo e mi incammino con le mani dentro le tasche della giaccia verso l'uscita del parco.
Sento i suoi passi dietro di me, segno che mi sta seguendo.
«C'è ancora una cosa che devi fare» dico.
«Cosa?» chiede e sento dalla sua voce che si è innervosita.
«Fare un mega urlo» dico allargando le braccia e sorridendo.
«Un urlo?» chiede abbassando il tono della voce.
«Sei impazzito o cosa, c'è il sorvegliante del parco che è chissa dove» dice preoccupata.
Scrollo le spalle.
«Una ragazza divertente non se lo farebbe ripetere due volte» dico solo per accendere quella miccia che so che c'è nel suo corpo.
Fa un profondo respiro e poi caccia un urlo ad occhi chiusi.

Josephine
Non capisco il perché di questo urlo però devo ammettere che mi ha dato delle strane sensazioni.
Cogliendomi di sorpresa, mi prende per mano e corriamo insieme fino all'uscita del parco.
Mi guardo dietro per vedere se il sorvegliante del parco ci ha notati ma sembra essere tutto tranquillo.
Quando arriviamo alla moto ho ripreso un po' di fiato e parlo.
«Perché me lo hai fatto fare?» chiedo.
Lui mi guarda.
Certe volte penso che mi voglia comunicare qualcosa solo con gli occhi.
«Perché urlare è liberatorio, perché stare qui in questo parco di notte è di conseguenza fare qualcosa di illegale che ha il suo fascino che certe volte ti accende qualcosa dentro e ti fa sembrare meno noioso, rende la tua vita più eccitante e non ne puoi più fare a meno quando assaggi un po' di vita» dice.
Mi fissa ancora un istante ma io sono gelata dalle sue parole, dal fatto che le ritengo assolutamente vere.
Poi si gira e prende il casco che mi sono messa prima e me lo passa subito dopo prende il suo e se lo mette.
Forse mi sono sbagliata su di lui.
Non può dire frasi profonde e allo stesso tempo essere un mega stronzo.
Quando arriviamo davanti a casa, smonto dalla moto alla velocità della luce senza dire niente e gli porgo il mio casco.
«Quindi ora sono meno noiosa?» chiedo giocosa.
Ride abbassando la testa.
«Sei ancora in prova» dice ridandomi il casco.
«Lasciamelo davanti alla porta di casa, devo andare in un posto» dice.
Lei aggrotta la fronte.
«Dove?» chiedo.
«Non ti riguarda, ci vedremo in giro Sunshine» dice.
Mi fa un cenno con la testa e parte.
Rimango con la bocca leggermente socchiusa.
Poi improvvisamente mi torna alla mente il fatto che starà andando a cercare la puttanella di turno che gli scaldi il letto.
Ovvio.
Facendo un profondo sospiro vado verso casa Clark.
Lascio il casco davanti alla porta e faccio anche per togliermi la giacca quando vedo che per sbaglio ho fatto cadere il pezzo di carta dalla giacca.
Lo sto per rinfilare dentro ma notando che non è uno scontrino, lo apro.
Sotto la luce lieve dei lampioni della strada riesco a leggere chiaramente con una calligrafia semi-elegante:

Non deve più capitare, abbiamo fatto degli errori. Io lo amo Reed.

Il mio cuore va più veloce.
Più il mio cuore vorrebbe dire che non è un messaggio di Giselle, non c'è manco una prova che possa essere suo il biglietto, più la mia testa mi conferma che invece è così.
Giselle e Reed hanno una storia alle spalle di Derek.
Ma sembra che Giselle abbia deciso di fare la cosa giusta e smetterla.
Mi sento comunque molto incolpa.
Vorrei averlo letto prima questo biglietto per chiedere aiuto alla persona che mi ha fatto venire tutti questi dubbi. Cioè Axel.

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