XVI - montagna, il telefono

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Quello era il loro ultimo giorno alla baita. Sarebbero partiti verso sera, perciò ognuno aveva già cominciato a preparare le valigie per godersi il pomeriggio in tranquillità.

Changbin aveva preparato i suoi bagagli abbastanza velocemente, in modo che nessuno lo vedesse nascondere il bauletto giapponese tra i vestiti. Chiuse la valigia con la zip e la portò giù, aggiungendola al mucchio di quelle già pronte vicino alla porta. Uscì in veranda, ma era occupata da Seungmin e Yunha, perciò andò a sedersi sul tronco in fondo al giardino. Prese il cellulare e chiamò Changmin.

«Pronto?»

«Buongiorno, signore. Sono Changbin.» Anche dopo tutto quel tempo, il suo capo non aveva ancora salvato il suo numero di telefono.

«Che bello sentirti. Spero che tu abbia delle novità

Changbin gli raccontò del bauletto, di come era riuscito ad aprirlo, di tutte le prove che c'erano all'interno. Quando Felix e Nayun se n'erano andati aveva cercato ancora tra gli scatoloni ma non aveva trovato nient'altro.

«Molto bene. Portami tutto non appena rientri.»

«Certo, signore.»

Changmin trovava nel ragazzo un fedele servitore. Portava a termine tutti i compiti con la massima serietà e, in tutti quegli anni, non si era mai fatto beccare. Lui e Changbin si erano conosciuti quando il ragazzo gli rubò l'orologio, un pomeriggio di tanti anni prima. Changbin aveva quattordici anni circa ed era in quella fase dove le bravate servivano per entrare nella cerchia di amici più popolari. Aveva sfilato l'orologio a Changmin mentre camminava e l'aveva fatto vedere agli amici, senza mai perdere d'occhio l'uomo. Quando i suoi amici se n'erano andati, poco dopo, Changbin era corso da lui per restituirglielo. Si sentiva troppo in colpa, nonostante avesse potuto ricavarci un sacco di soldi dalla vendita.

Changmin era stato sorpreso: non si era nemmeno accorto di non averlo più. Aveva detto al ragazzo che avrebbe dovuto fare qualche lavoretto per lui, se non voleva essere denunciato. Changbin, in preda al panico, aveva accettato. Piccole piazze di spaccio, qualche pedinamento, raccogliere informazioni. Non si era mai fatto prendere.

Un compito dopo l'altro, Changmin aveva cominciato a pagarlo. Ed erano passati gli anni.

«Dopo aver eliminato quelle prove, rimane solo una cosa da fare: eliminare il figlio degli Han.»

«S-scusi, non credo di aver capito bene» deglutì Changbin.

«Hai capito benissimo. Han Jisung potrebbe sapere qualcosa, e noi non vogliamo che canti alla polizia. Sarebbe bello fargli fare la stessa fine dei suoi. Taglia i freni della macchina su cui viaggia.»

Il ragazzo sbiancò, sudando freddo. Vide Chan che lo teneva d'occhio dalla veranda, ma non aveva tempo di badare a lui al momento.

«Signore, non posso farlo. Ci saranno anche altre persone nella stessa auto, che non sanno nulla della questione...»

«Non mi importa. Dovresti sapere meglio di me cosa sono disposto a fare per raggiungere i miei obbiettivi. Lo sa bene anche la tua zietta.»

Changbin subito si mise in allarme. «Cosa le avete fatto?!»

Il signor Shim ridacchiò, ma la sua risata trasmetteva solo gelo. «Per il momento, nulla. Dipende tutto da te. Fai quello che ti ho detto. E' un ordine.»

Il ragazzo non ebbe l'occasione di ribattere, il suo capo gli chiuse la telefonata in faccia. Changbin era sempre stato obbediente, ma quella volta non avrebbe eseguito l'ordine. Ormai era affezionato a Jisung e alla compagnia - chi più, chi meno - e non avrebbe mai fatto loro del male. Fare così il doppio gioco lo faceva sentire in colpa. Non aveva mai avuto il coraggio di uccidere, nemmeno uno sconosciuto, perciò uccidere i suoi amici - che stava tradendo - era fuori discussione.

twisted | minsungDove le storie prendono vita. Scoprilo ora