XXVI - turbolenza di scia

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Era domenica, il giorno della partita. Era l'ultima della stagione ed erano tutti eccitati all'idea di giocarsi lo scudetto con la prima in classifica: erano solo a un punto di distanza e, se avessero vinto la partita, avrebbero vinto anche tutto il campionato.

Erano tutti in spogliatoio a cambiarsi, mancavano pochi minuti al fischio di inizio. Seungmin stava davanti al suo armadietto mentre si slacciava e riallacciava le scarpe per l'ennesima volta. Era un po' preoccupato perché Jisung non era ancora arrivato. Era molto strano da parte sua, dato che, essendo capitano, arrivava sempre prima degli altri.

L'allenatore irruppe nello spogliatoio.

«HAN!» gridò, ma Seungmin gli fece un cenno.

«Coach, non è ancora arrivato.»

«Cosa vuol dire che Han non c'è?» sbraitò.

«E' molto strano da parte sua. Ieri sera sono andato a trovarlo e mi ha garantito che sarebbe stato presente.»

Il coach si tolse il cappellino e si strofinò la faccia con una mano. L'attesa del gioco era stressane, ma sapere che mancava il capitano era davvero una sofferenza.

«Mancano solo cinque minuti. Se non si presenta, Park diventa capitano.»

Passarono i cinque minuti ma di Jisung nemmeno l'ombra. Seungmin stava cominciando a preoccuparsi davvero: e se gli fosse successo qualcosa di grave? Viveva da solo, se fosse svenuto o altro non ci sarebbe stato nessuno a chiamare i soccorsi. In più nell'ultima settimana non era stato granché in forma, perciò le sue preoccupazioni erano fondate.

Le due squadre sfilarono l'una accanto all'altra, in fila indiana, ed entrarono in campo. Tutto lo stadio esultò e partirono i primi cori in favore di una o dell'altra squadra. Seungmin non si sentiva a posto con se stesso a giocare novanta minuti con quel dubbio in mente.

Corse dall'allenatore sotto gli occhi di tutti.

«Coach, devo andare. Mi dispiace» gli disse, poi si girò verso uno dei suoi compagni di squadra in panchina. «Entra tu» gli disse, poi corse via.

In sottofondo si sentì la voce del commentatore uscire dagli altoparlanti. «Che succede? Sembra che ci sia un cambio dell'ultimo minuto nella squadra...» ma Seungmin stava già correndo verso il primo taxi disponibile.

***

Nayun era nella sala d'attesa dell'aeroporto. Stavano preparando il jet che avrebbe portato lei e i suoi genitori nella capitale; era uno di quelli che possedevano, da quanto aveva capito ne avevano molti sparsi in tutta la penisola.

I suoi le avevano comprato un nuovo cellulare con un nuovo numero di telefono all'interno, esclusivamente dedicato al lavoro. Questa era la scusa ufficiale, ma in realtà era per farle tagliare i contatti con i vecchi amici. Secondo la signora Lee, non aveva bisogno di loro e la ragazza doveva concentrarsi sul suo nuovo ruolo.

Nonostante ciò, Nayun continuava a riguardare le conversazioni nel vecchio telefono, di nascosto. Le avevano ordinato di buttarlo, ma lei non se l'era sentita. Non ancora. Quel giorno, forse per via del meteo uggioso o di altro, era triste. Si sentiva un po' vuota dentro, come risucchiata da un buco nero. Aveva fatto bene a partire? Aveva fatto male? Non lo sapeva nemmeno lei.

Continuava a rileggere l'ultimo messaggio che le aveva mandato Felix, pochi giorni prima: mi manchi. Due parole che si ripeteva in testa mille volte in maniera ossessiva, facendola sentire ancora peggio. Felix sarebbe andato avanti, ma lei ci sarebbe riuscita allo stesso modo?

Nella sala d'attesa l'avevano lasciata sola per un po', perciò nascose velocemente il vecchio cellulare quando udì il rumore lieve delle porte scorrevoli mentre si aprivano. Entrò sua madre, sfoderando un sorriso bianchissimo.

«Nayun cara, stiamo per partire. Prendi le tue cose e seguimi» le disse.

La ragazza si sforzò di sorridere ma le occhiaie nere per la stanchezza e gli occhi ancora un po' rossi per aver pianto tradivano il suo reale stato emotivo.

La madre la guidò lungo un dedalo di corridoi sconosciuti alla gran parte dei passeggeri dei voli di linea dell'aeroporto; doveva essere una zona riservata a chi volava con degli aerei privati. Le pareti erano bianche con delle stampe di quadri famosi appese, il pavimento era costituito da piastrelle enormi di un blu scuro, costellate di brillantini come nel più bello degli hotel. E se il gate era così sfarzoso, l'aereo lo era ancora di più. L'interno era tutto di un bianco crema, i sedili - sei in tutto - erano in pelle con degli inserti di legno pregiato. Lungo un lato c'era un tavolo dello stesso legno, con un piccolo angolo bar dietro il quale stava una assistente di volo. Si accomodarono tutti ai loro posti, lei capitò accanto ad uno dei finestrini.

«Benvenuti a bordo. Io sono il capitano Kim Wooshik...» poi cominciò a snocciolare informazioni che Nayun non capiva dall'altoparlante in cabina.

Erano ancora fermi al gate, aspettando il via libero dalla torre di controllo. La ragazza ne approfittò per andare in bagno. Dopo essersi lavata le mani, sentì vibrare il cellulare in tasca. Era quello vecchio.

Chiuse il tappo del wc e ci si sedette sopra. Sbloccò il cellulare e aprì la conversazione: era il gruppo della compagnia. Non aveva avuto il coraggio di uscire. C'erano molteplici messaggi di Felix.

Ragazzi, abbiamo un problema.

Minho non mi rispondeva, così sono corso a casa sua. Ho trovato tutta la casa sottosopra e lui svenuto a terra.

Non riuscivo a svegliarlo ma almeno era vivo. Ho chiamato l'ambulanza e adesso siamo in ospedale.

Sto aspettando che si svegli.

Nayun sbiancò di botto. Leggere quei messaggi fu un colpo al cuore e fu costretta ad appoggiarsi alla parete con la schiena. Minho era in ospedale in condizioni critiche e lei stava letteralmente volando via. Avrebbe capito se avesse iniziato ad odiarla: era una persona orribile.

Tornò in cabina e sua madre subito vide il cambio di colorito. Le occhiaie nere si vedevano ancora di più.

«Tutto bene, tesoro?» le chiese, ma Nayun annuì e basta.

Suo fratello era vivo, ma ancora per quanto? Si sarebbe mai risvegliato? Nayun non sapeva perché fosse finito in una situazione così per la seconda volta - dato che aveva promesso che non ci avrebbe più riprovato - ma anche le promesse potevano infrangersi.

L'aereo si mosse dal gate, in direzione della pista. 

E se Minho era in quelle condizioni per colpa sua? E se fosse morto mentre lei era in volo? Avrebbe ricevuto la notizia solo ore dopo, quando ormai sarebbe stata bloccata a centinaia di chilometri. Non poteva permetterlo.

«Fermate tutto!» esclamò, alzandosi in piedi. Scavalcò la madre e raggiunse la hostess nella parte davanti del'aereo.

«Fatemi scendere!»

Erano tutti esterrefatti. I genitori in primis, la hostess ancor di più.

«Ma signorina, ormai non si può...» cominciò a dire, ma lo sguardo di Nayun la fece desistere. La poveretta lanciò uno sguardo ai signori Lee, prima di bussare alla porta della cabina di pilotaggio.

«Nayun, cosa stai facendo?» domandò la madre, senza più alcuna traccia della gentilezza che aveva prima. Il suo sguardo era tornato di ghiaccio come sempre.

«Non posso rimanere, mi dispiace. Io... non appartengo a questo mondo.»

L'aereo si fermò piano in mezzo alla via per giungere alla pista e la hostess, insicura su cosa fare, aprì comunque il portellone. Nayun era quasi propensa a saltare giù direttamente, ma aspettò che la scaletta si allungasse fino a terra. Guardò solo un'ultima volta i suoi genitori e si lanciò fuori, correndo verso l'aeroporto.

«...»

twisted | minsungDove le storie prendono vita. Scoprilo ora