Pranzo di Natale

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Sembra ieri che ho finito il liceo, in effetti è passata appena una settimana. Mi chiamo Paolo Orsi e sono ormai un ex studente dell’istituto tecnico industriale di Milano. Avrei voluto andare all’università , come mio padre, diventare un ingegnere elettronico, come mio padre. Ma dopo che lui si è ammalato, un anno fa, tutti i miei sogni andarono via via svanendo, come le sue forze.

La nostra famiglia, reggeva sulla professione di mio padre e l' invalidità unita alle spese mediche, non hanno  fatto altro che far scemare ogni concreta possibilità di realizzazione mia personale.

Durante l’ultimo pranzo di Natale, ho appreso da mio zio Massimo,che la S.I.P.I., la società interplanetaria italiana, aveva indetto un bando di reclutamento per dieci posti di lavoro.

Sapete come vanno queste cose. I pranzi di Natale intendo. Tutti che si ingozzano, paghi delle loro vite, mentre tra un boccone e l’altro ti fanno il terzo grado.

“Allora Paolino! Già deciso cosa farai dopo le superiori?” chiese mia zia Ida, avvolta nella sua pelliccia di visone, con le labbra tinte di un rosso acceso.

Giuro non feci neppure in tempo a pronunziare quel “no” che realmente pensavo che subito nonno Paolo rincarò la dose.

“Ma sicuramente avrai dei piani, visto che ora sei maturato; e carriera e famiglia sono il prossimo dei tuoi pensieri.”

Questa volta tentai di pronunciare quella sillaba con maggiore velocità, ma ancora fui preceduto.

“Il mio ciccino, sa sicuramente cosa è meglio per lui. Troverà un lavoro onesto, una bella fanciulla e se Dio vorrà si sposeranno e vivranno una bella vita felice e spensierata, lontani da tutti i guai di questo mondo” disse mia Nonna Lella.

Questa volta capì che era inutile controbattere, anche perché altri si stavano unendo al discorso e io preferì gustarmi i tortellini piuttosto che farmi il sangue amaro per il resto della conversazione. O del pranzo. Anche se la prima sarebbe continuata anche più.

Ma giunto al terzo cucchiaio di brodo, mio zio Massimo, fino ad allora l’unico zitto, mi guardò e  dalla parte opposta del tavolo rispetto a me, mi disse.

“Perché non fai domanda alla S.I.P.I.?” 

Tutti smisero di parlare. E in quel silenzio assordante, rimasi come un deficiente a rumoreggiare con le labbra, bevendo il brodo bollente.

Anche a me quelle parole avevano suscitato qualcosa dentro, più di quanto avrebbe fatto il brodo dopo, però non pensavo che tutti gli altri gli dessero tutta questa importanza. Alchè sollevai lo sguardo e mi ritrovai faccia a faccia col fratello di papà, che come tutti gli altri se ne stava ad aspettare una mia risposta.

E io da ottimo ragazzo diciottenne in un pranzo di Natale, che pensa soltanto a mangiare me ne uscì con una risposta che li spiazzò tutti.

“Come hai detto zio?!”

 Bel colpo Paolo, davvero bel colpo! Ma poi pensai, dai tanto è colpa loro, non ascoltano mai le mie risposte proprio stavolta dovevano starsene a sentirmi?!

Ma la figuraccia era ormai maturata, e l’imbarazzo cresceva nella stanza. Ma se c’era un uomo su cui potevo contare in situazioni come queste era sicuramente il mio vecchio.

Quella fu una delle ultime volte che si sedette a tavola con noi, e credo l’ultima che volle avere a che fare con quegli insopportabili parenti.

“Paolo farà ciò che è meglio per lui!”

Poi mi guardò e sorrise.

Anche quella fu un’ ultima volta. Già il suo ultimo sorriso.

Il cancro se lo portò via il 15 di gennaio dell’anno successivo, e per un figlio di genitori divorziati, significò perdere tutto ciò che avevi di buono e sicuro fino a quel momento.

Mia madre non venne nemmeno al funerale, mi scrisse una lettera, in cui si scusava, ma aveva degli impegni di lavoro all’estero.

Nel giro di un mese quella casa così piena per il pranzo di Natale si svuotò e rimasi da solo, con una domanda a cui non avevo ancora dato una risposta.

“Pronto zio Max?” dissi non appena sentì rispondere

“Paolo?! Dimmi!” disse lui.

“Senti ricordi quel discorso che facemmo a Natale riguardo la S.I.P.I., ecco mi chiedevo se…”

“Adesso ho da fare – mi disse – ti richiamo io non appena so  qualcosa” e riagganciò.

Nel frattempo scuola era l’unica valvola di sfogo, e nonostante i buoni voti, sapevo che il mio sogno di andare a Ingegneria si affievoliva sempre più.

Non avrei potuto pagare, ne il Politecnico, ne tanto meno andare a studiare fuori sede.

Tutta l’eredità di mio padre era finita nelle casse di quella arpia di mia madre, tra alimenti e assegni mensili, che lei sperperava nei suoi “viaggi di lavoro”. A me restava solo il minimo per campare e pagare le bollette.

Allora prendeva sempre più piede la strada dell’arruolamento, ma i giorni passavano e non avevo avuto più notizie di mio zio.

Poi un giorno di inizio Maggio, squillò il telefono, era nonna Lella che mi invitava a pranzo da lei.

Io ero nella più totale depressione, tra le vicende familiari e gli esami di stato che si avvicinavano.

E non avevo di certo voglia di sorbirmi altri consigli utili su come essere un bravo ciccino. Se non altro ero stufo di ingurgitare risotti pronti dell’ Emmelunga e decisi di andare.

Arrivato, il profumo di lasagne mi accolse, insieme ad una lieta sorpresa. Zio Max.

“Zio, ci sei anche tu, sono mesi che non ho tue notizie!”

“E non sperare di averne – mi disse – credo che alla fine il bando sia stato annullato”

Ci rimasi male. In fondo speravo in quella possibilità, anche perché era l’unica che mi si palesava all’orizzonte, a parte lavorare in un fastfood.

Mi sedetti a tavola, come un cane bastonato, e iniziai a mangiare. Goditi questa lasagna pensai, che chissà quando ti ricapiterà di mangiarla.

Poi mio zio mi allungò un foglio ripiego su se stesso.

“Tieni ragazzo”

Lo  presi con cautela, poi vidi i miei nonni in apprensione quasi quanto me, allora decisi di aprirlo.

“VOLO DIRETTO – MILANO – ROMA DEL 15-05-2063”

“Ma zio, non capisco”

“Ho presentato la domanda alla S.I.P.I. mesi fa quando ci siamo sentiti l’ultima volta, e ti hanno fissato le visite mediche per il prossimo giovedì”

“Gr…grazie” balbettai, prima che come due treni in corsa le bocche dei miei nonni mi investissero accompagnate da tutti i complimenti e gli auguri del caso.

Non ci credevo, confesso, quella faina di mio zio me l’aveva fatta. 

“Aspetta a ringraziarmi, devono ancora prenderti”

Stavolta me ne uscì con un  più deciso e determinato “Lo so!”

In quell’ora abbondante di volo, decisi che mi sarei informato, all’ultimo momento, su tutto ciò che riguardava il lavoro della S.I.P.I. negli ultimi cinquanta anni.

Ovvero da quando Loris Grasso, Vincenzo Di Gregorio ed Emanuele Projetto, la fondarono nel 2013.

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