“Ragazzi, statemi bene a sentire - disse l’uomo col camice bianco – la prova sarà semplice ma non dovete sottovalutare le insidie e gli imprevisti che vi si potranno porre dinanzi”. Poi diede una rapida occhiata alla cartelletta che portava con se e continuò a spiegare. “Dunque signorina Gesser di Brixen e signor Orsi di Milano. Bene. Ecco, per questa prova verrete fatti entrare in una cella di due metri cubi di spazio al cui interno e posto una copia del motore 800A della navicella Argo 41, e in condizioni di spazio angusto, dovrete riparare una falla ad una delle componenti. Per fare ciò avrete 10 minuti a disposizione, perciò non perdete tempo e collaborate tra di voi. E sono sicuro che riuscirete nell’intento. Buona fortuna!”
Un carrello elevatore fece calare davanti a noi il famigerato cubo 2x2x2, dal tonfo che produsse, nonostante fosse stato adagiato delicatamente sul pavimento, capii che doveva sicuramente essere di metallo, e in quel giorno di maggio dentro una scatola metallica di quelle dimensioni ridotte, non sarebbe stato facile lavorare, già da soli figurarsi in coppia.
Anna mi diede un’altra delle sue occhiatacce, e il dolore al basso ventre ritornò a farsi sentire. La porta del cubo si aprì e ci venne chiesto di entrare.
A fatica riuscimmo a sistemarci io da una parte del motore e lei dall’altra. Era gigantesco. A scuola ne avevamo uno simile ma era una copia della Argo 31, più vecchio cioè di dieci anni rispetto a questo, ma il principio di funzionamento era molto simile e le componenti in più erano solamente degli upgrade per migliorarne l’efficienza. La porta della stanza si chiuse dietro di noi.
“Stammi a sentire ragazzino, tu non mi piaci a fatto e il pensiero che tu possa entrare nella S.I.P.I. mi fa vomitare. Però purtroppo questa prova si deve svolgere per forza a coppie quindi, diamoci da fare, datti una svegliata e non farmi perdere punti, altrimenti ti farò pentire di essere nato” mi disse gentilmente la Gess Gess.
E io preoccupato per tutta la mia persona non potei far altro che annuire.
“Ok! – esclamò lei - conosci questo motore vero?” mi chiese
“Si è un pulsoreattore a detonazione interna.” Spiegai
“Già ma questo è della Argo 41. L’unico il cui progetto non è stato divulgato dalla società. Io ho studiato fino al modello della Argo 40 ma non dovrebbe essere tanto differente.”
Mi sentì un uomo primitivo di fronte alle sue conoscenze. Aveva studiato fino all’Argo 40 mentre io ero fermo al modello 31.
La vidi subito smanettare e cercare la falla di cui parlava l’uomo col camice. Ma dopo i primi due minuti non avevamo ancora nulla per le mani.
Iniziai ad esaminare una ad una le componenti, ma sia io che Anna non trovammo alcuna falla. La ventola era intatta, così come gli alberi, i compressori e le turbine, persino l’ugello di scarico era apposto. Non ci restò che esaminare lo scafo centimetro per centimetro mentre erano già passati cinque minuti.
“E se fosse un problema del sistema di controllo da remoto?” chiese lei.
Confesso che in quel momento ero perso a visionare ogni punto di quello scafo sia all’interno che all’esterno e me ne uscì con la più stupida delle risposte
“Come hai detto scusa?”
Mi tirò in testa un cacciavite.
Ripresomi dal colpo, prestai attenzione a quello che mi aveva detto e passammo ad esaminare la parte elettronica. Ma anche li era tutto normale, non c’era nessuna stramaledetta falla.
Mancavano due minuti alla fine, ero esausto. Quando una sirena iniziò a risuonare all’interno del cubo e una luce rossa intermittente illuminò i nostri volti.
“Oh no ci siamo!” disse la quattrocchi.
E tutto d’un tratto la temperatura iniziò a salire.
“Inizia a fare un po’ troppo caldo qui dentro!” esclamai.
“Hanno alzato la temperatura per farci lavorare in condizioni estreme.” Mi spiegò lei.”
Io non potevo far altro che ansimare e sudare.
“Imbecille ascoltami, non è la prima volta che tento questo concorso, e le altre volte mi sono arresa sempre a questa prova. Quindi ti prego di aprire gli occhi e il cervello e trovare una possibile soluzione a questo cazzo di problema!” mi disse.
Mi ricomposi, e iniziai nuovamente ad esaminare tutte le componenti meccaniche, e mi accorsi che accanto l’ugello di scarico, vi era una parte che non avevamo attenzionato prima. Un altro ugello, che era collegato alle camere di combustione, ma con un flusso opposto.
“Certo! L’ugello di Levlan!” esclamai.
Lei mi guardò attonita, poi capì.
Mancavano trenta secondi.
“Grazie imbecille, ora spostati che effettuo la riparazione”
E contro ogni previsione quattro secondi prima della fine riuscimmo a superare la prova. Il portellone del cubo si aprì e uscimmo, stremati e zuppi per il sudore.
Mi rinfrescai subito scolandomi una bottiglietta di drink energetico e dopo l’ultimo sorso sentì battere sulla schiena.
“Sei stato in gamba imbecille” mi disse Anna
“Beh ecco…ti ringrazi!” balbettai ancora provato.
“Come lo hai capito?” mi chiese
“Insomma, l’ugello di Levlan è un componente di ultima generazione che era in studio negli ultimi due anni, e dopo aver sentito che tu avevi lavorato fino al modello 40 e non ne eri a conoscenza, ho subito pensato che lo avessero inserito solamente adesso e verificando è saltato fuori” spiegai.
“Bene – mi disse - ma bada che da adesso in poi siamo una contro l’altro. La collaborazione è finita e i posti disponibili sono pochi quindi…”
“Che vinca il migliore?” chiesi stupidamente.
“Cioè io!” esclamò.
E mi lasciò lì nella mia stupidità. Stanco e assetato.
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ASTRONATS
Science FictionÈ questo ciò che ci meritiamo, per il male che ci siamo fatti, per le continue azioni scellerate nei confronti di una Terra, che non ci ha mai voltato le spalle. Nei confronti di una madre che non ha mai chiesto nulla in cambio, che ha sempre dato...