2 Chi ti ha fatto questo?

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Il rumore del pugno che batteva sulla porta ebbe il potere di svegliare Levi, assieme alla sveglia del telefono, impostata per le sei in punto. Di malumore si alzò e senza dare importanza ai soli vestiti che indossava, ovvero dei boxer neri, aprì la porta. Erwin Smith era in piedi a guardarlo, con espressione rilassata;  un tempo era stato grande generale dell'esercito, ma dopo molti anni di servizio si era ritirato dedicandosi al mondo della ristorazione.
"Buongiorno", disse Erwin.
"Buongiorno un cazzo".
"Sei forse di malumore? Più del solito?".
"Sì. Il moccioso non faceva altro che frignare tutta notte, e si è calmato solo alle tre e mezza. Non mi ha fatto chiudere occhio quel piccolo bastardo".
"È naturale Levi, non essere così duro con lui. Sarà spaventato senza i suoi genitori, e conta il fatto di trovarsi in casa con uno sconosciuto. Lui dov'è?".
"A dormire. Sul mio letto".
"Va bene. Tu vai pure che a lui ci penso io".
"Ti devo un favore".
"Tutto per un amico".
Levi si rivestì e prese lo zaino, uscendo di casa senza aggiungere altro.

Fu una giornata di merda. Nell'aria si sentiva il dolce profumo degli Alfa in calore, e nessuno si risparmiò nel provarci con Levi. Era uno dei pochi Omega a non aver ancora trovato un partner, e si era convinto che non lo avrebbe mai trovato. Tornò a casa all'una precisa, ma quando entrò non vide Erwin. Eren invece era seduto a tavola, apparecchiata per due persone.
"Ciao Levi!", lo salutò il bambino.
"Oi, Erwin è andato a casa?".
"Sì. Abbiamo giocato e disegnato e-".
"Non mi interessa".
Lo studente poggiò per terra lo zaino e sollevò i coperchi posti sopra ai piatti - messi modo tale da lasciare caldo il cibo - rivelando il loro contenuto. Minestrone fumante.
"Bleah", commentò Eren con faccia schifata.
"Mangia moccioso".
"Mi chiamo Eren! E comunque non mi piace".
"L'hai mai assaggiato?".
"No ma-".
"Allora non dire che non ti piace. Lo assaggi e basta".
Contrariato, Eren prese il cucchiaio ed assaggiò la purea di verdure, soffiandoci sopra da quanto era caldo. Non appena lo mise in bocca, fece una faccia disgustata.
"Non mi piace".
"Allora non mangi".
"Ma-".
"Senti non siamo in un hotel okay? O ti adegui o muori di fame".
"Però-".
Levi si stancò. Gli prese il piatto e con rabbia gli riversò il minestrone sulla testa, fregandosene dello sporco che aveva creato. Eren urlò di dolore e corse in bagno, piangendo forte. Inizialmente il ventenne se ne fregò, ma dopo venti minuti che il bambino non usciva andò verso la porta del bagno, bussando.
"Ehi hai finito?".
"Non esco".
"Perché? Muoviti".
"Sono sporco e brutto".
"Esci ti ho detto".
"Ho detto di no!".
Levi spalancò la porta con la misera pazienza che gli era rimasta, ma rimase piazzato sul suo posto a guardare dentro il bagno. I capelli di Eren era un grumulo di minestrone e bolle, con la maglietta lercia e gli occhi traslucidi e le guance rigate dalle lacrime.
"Mi dispiace", disse Levi, contemplando le conseguenze del suo operato.
"Mi hai fatto male".
"Lo so".
"Ho paura di te".
"Hai ragione ad averne, dopotutto sono uno sconosciuto che ti sta tenendo in casa sua. Per farmi perdonare ti faccio io il bagno, va bene?".
"Okay...".
Levi prese una pomata e la spalmò sulla nuca di Eren, facendo attenzione a non fargli male. Poi si tolse la maglia e spogliò il bambino, per poi poggiarlo dentro la vasca da bagno. Il corpo era troppo mingherlino per uno della sua età, e sembrava avere su ogni centimetro di cute una sorta di polvere colorata, simile al fondotinta. Bastarono il getto d'acqua e il sapone per rivelare la vera pelle di Eren. Sulla pianta di entrambi i piedi presentava delle cicatrici e sulla schiena segni di vecchie chinghiate. Levi si paralizzò a quella vista; quelle non erano ferite di caduta o incidenti, ma vere e proprie prove di abusi e violenze di cui Eren era stato vittima. Solo allora capì perché aveva pianto tutta notte e il perché era scappato dalla sua famiglia. Sì sentiva un mostro, un essere senza cuore; in tutta risposta, Eren abbassò lo sguardo senza dire nulla.
"Chi ti ha fatto questo?".
"P-papà".
"Sai il perché?".
"Gli disobbedisco o combino guai".
Levi sospirò, e comprese che trovare i suoi genitori non era una buona idea, perlomeno il padre.
"E la mamma? È buona con te?".
"Sì. È gentile e mi vuole bene".
"Capisco. Ti fa male se ti tocco qui?", disse premendo leggermente sulla schiena.
Eren annuì stringendo i denti.
"Ho capito".
Lo lavò come se stesse lucidando un bicchiere di cristallo, piano e lentamente, massaggiando con cura gli arti sottili e il volto paffuto. Dopo il bagno lo asciugò e gli diede dei vestiti fin troppo larghi per lui.
"Visto che oggi non ho impegni all'università andremo al centro commerciale a prenderti dei vestiti".
"Andremo al parco giochi?".
"Solo se fai il bravo".
"Sì lo prometto".
"Allora ci andiamo".
"Sì!".

Mi chiamo Eren! ~Ereri~Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora