Te ne pentirai Eren puoi starne certo!, pensò Levi mentre Eren lo portava in camera sua, aprendo la porta col piede. Le pareti erano alte e di un azzurro chiaro, e di fronte alla porta ci stava un letto abnorme - le cui lenzuola erano di un blu scuro e i cuscini bianchi - e un armadio gigante, bianco con ben sei ante. La scrivania era di vetro opaco, posta a destra della porta finestra che permetteva l'accesso a un piccolo balcone in marmo. Levi iniziò a dimenarsi cercando di fuggire, inutilmente; venne fatto sedere sul letto e con un colpo secco gli fu tolto il nastro isolante dalla bocca.
"Liberami Yager!", sbraitò infuriato.
"No prof, noi dobbiamo parlare".
"Liberami ti ho detto! Questo è un rapimento moccioso che non sei altro!".
"Non le voglio fare del male".
"Se certo. Se porti qualcuno in camera senza il suo consenso è un tentativo di stupro".
"Ma non la voglio stuprare!".
"Allora cosa vuoi da me?!".
"Parlare!".
"Potevamo farlo a scuola cretino!".
"Ma se è lei il primo a non cagarmi di striscio!".
Levi si zittì e distolse lo sguardo.
Eren aveva trovato il tasto giusto.
Andò verso il cassetto del mobiletto accanto al letto e da dentro prese quel che sembrava essere un vecchio giornale; lo aprì e lo mise davanti al volto del prof, sedendosi davanti a lui.
"E questo cos'è?".
"Un giornale. Sei forse troppo giovane per sapere cos'è?".
"Non mi prenda per scemo! E ora legga. Ad alta voce".
Il più grande non lo guardò.
"Legga le ho detto!".
Titubante, Levi alzò lo sguardo e lesse:
"Grisha Yager vince la causa. Ora Eren resterà con la famiglia. Come ci si doveva aspettare il noto dottore Grisha Yager ha vinto la causa per l'affidamento del figlio Eren, sconfiggendo nell'aula del tribunale lo studente ventenne Levi Ackermann, accusato del rapimento e di violenze commesse sul piccolo. Nonostante la vittoria da parte della famiglia Yager, Levi non verrà incarcerato, data la caduta delle prove sul suo conto".
Il ragazzo chiuse il giornale e lo gettò a terra.
"Secondo mio padre, otto anni fa lei mi rapì per abusarmi, fisicamente e sessualmente, quale Alfa che sei. Mi tenne in ostaggio fino a metà aprile e riuscirono a trovarmi solo grazie al telegiornale, scoprendo che mi trovavo all'ospedale a causa di un'aggressione, per colpa sua".
Lo sapeva già. Levi non si era mai aspettato diversamente; sapeva che suo padre gli aveva raccontato una buffonata, lo aveva sempre saputo dentro di sé. Non ha mai voluto illudersi, proprio per non soffrire.
"È una stronzata".
"Sa, all'inizio ero così arrabbiato che avrei voluto quasi ucciderla, ma poi ho fatto dei strani sogni".
"Strani sogni?".
"Sì. Eravamo noi due, ma lei sembrava ringiovanito di dieci anni e io un bambino. Era natale e mi aveva regalato un paio di scarpe, io invece un paio di guanti".
Se lo ricordava bene quel natale il professore, il più bello della sua vita. Di solito lo aveva passato con Erwin ed Hanji, ma data la presenza di Eren aveva lasciato i suoi due amici che festeggiassero assieme.
"E poi?".
"E poi ero su un letto d'ospedale, collegato a dei macchinari e stretto tra le sue braccia. Stava piangendo come se da lì in poi non si saremmo mai più visti".
Anche quello. Tutto si ricordava Levi, purtroppo. Ricordava il dolore che aveva patito nel cuore, il senso di sconfitta straziante e il desiderio di andarsene, per smettere di soffrire.
"Tu cosa ne pensi di questi sogni?".
"Io sono semplicemente confuso. Mio padre mi parla di lei come un mostro pervertito, ma ho sognato cose ben diverse. Per questo lei è qui; per chiarire questo dilemma".
"Cosa ti fa pensare che parlerò?".
Eren tirò fuori la chiave da sotto la maglia e fece la stessa cosa con Levi - accarezzando involontariamente una piccola parte di petto - esponendo il lucchetto. A quel contatto il più grande arrossì appena.
"Sono andato da un esperto, e mi ha detto di aver realizzato questi pendoli. E che il committente era lei".
"Non è vero".
"La deve smettere di dire cazzate".
"Sono affari miei non ti voglio parlare della mia vita privata".
Eren perse letteralmente la pazienza.
Diede una sberla al prof e dallo stesso cassetto da cui aveva preso il giornale sguainò un coltellino svizzero, puntandoglielo alla gola.
"O mi dice cosa non so, o diventa un insaccato".
Levi lo guardò dritto negli occhi, e ci rivide quel Eren che otto anni prima aggredì uno stupratore con un pezzo di vetro. Rivide il bambino che aveva adottato, la luce che gli aveva illuminato quei sette mesi, la personificazione della felicità e dell'amore, ma anche della determinazione e del coraggio. I ricordi, belli e brutti che fossero, invasero la mente di Levi, facendogli bene e male allo stesso tempo.
Parlò a bassa voce.
"Soffierà nel vento una lacrima...".
"Perché canta?".
"Era la tua canzone preferita. La cantavi sempre, e il tuo canto mi faceva sentire in pace, soprattutto nel periodo del calore, quale Omega che sono. Tu che ti sporcavi col cibo, ti stupivi per ogni cosa bella, perché sei curioso, lo sei sempre stato. Non...non mi importava di nessuno, ma in maniera involontaria tu mi hai insegnato ad amare ed a essere amato. Ma tutto è andato a farsi fottere, quando tuo padre pretese la tua restituzione, senza averti mai cercato prima. Persi non solo la causa, ma anche il motivo per cui non mi ero ancora tolto la vita".
Cercò di respingere il desiderio di piangere, ma le lacrime erano più potenti del suo orgoglio, e pianse senza singhiozzare.
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Mi chiamo Eren! ~Ereri~
Fanfiction¡OMEGAVERSE! ~Levi uke/Eren seme~ Levi è uno studente di vent'anni che studia presso l'università Wall Maria. È un tipo freddo, introverso e non ha nessuno, conseguenza di un passato difficile e la consapevolezza di essere un Omega, con solo come am...