14 Stai bene?

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Eren e Levi rimasero a guardarsi negli occhi per pochi secondi, eppure quello scambio di sguardi parve durare ore intere. Il professore era rimasto come imbambolato alla visione dello studente, con la bocca semi aperta per lo stupore e gli occhi quasi fuori dalle orbite. Di fronte a lui aveva Eren, quel bambino che aveva perduto otto anni prima, il ragazzino che aveva preso un posto speciale nel suo cuore, andandosene il giorno in cui Levi aveva perso la causa. Era Eren, senza alcun dubbio. Le prove che confermavano quella teoria erano due: le iniziali del nome e del cognome scritte sullo schema della classe e la chiave che il ragazzo portava al collo, la stessa che Levi gli aveva regalato per il suo decimo compleanno, prima dell'imminente disastro. Non sapeva come comportarsi: si era immaginato il loro incontro in migliaia di sogni, ma con un Eren ancora piccolo e un Levi studente. Adesso pregato tanto per poter rivedere quel bambino, ma adesso che ce lo aveva davanti e pure cresciuto non sapeva cosa fare, pur sapendo di essere sveglio e di trovarsi nel mondo reale.
"Eren...", pronunciò a sottovoce, stupendosi della sua voce così flebile e poco ferma.
Il ragazzo lo guardava stranito, ma allo stesso tempo nascondeva negli occhi curiosità.
"Come sa il mio nome professore?".
Levi interpretò quella domanda come una pugnalata nel petto. Eren non si ricordava di lui...di lui! Come poteva essere successo? Possibile che l'aggressione di otto anni prima gli avesse procurato una sorta di amnesia che lo aveva spinto a dimenticarsi di lui? Fin troppo probabile. L'uomo fece per aprir bocca, ma in quel momento avvertì nel basso ventre una fitta che lo costrinse a piegarsi in due dal dolore, gemendo leggermente più forte del dovuto.
Non ora cazzo!
Fuggì dalla classe ed aprì la prima porta che si affacciava sul corridoio, quella che portava ai servizi degli uomini. Si rifugiò in un bagno e si chiuse dentro, riuscendo a prendere il sopressore in tempo, prima di collassare dal dolore.
"Maledizione...", biascicò, procinto a piangere.
Afferrò il telefono e chiamò Erwin.
"Erwin sei libero?".
"Adesso?".
"No domani, ma certo adesso!".
"Emergenza calore?".
"Sì!".
"Capito. Dammi cinque minuti ed arrivo".
Levi mise giù la telefonata e si diresse all'ufficio della Presidenza, a comunicare al suo datore l'emergenza improvvisa e per niente prevista. Il preside Pixis era conosciuto a scuola oltre ai suoi grossi baffi anche per la sua magnanimità.
"Capisco" disse semplicemente, quando il professore terminò di parlare "vada pure, non è un problema".
Nel mentre che scendeva al piano terra Levi ripensò al suo scambio di sguardi con Eren: cazzo quanto era cresciuto...sembrava fosse passato solo un giorno da quando si erano conosciuti, ma ciononostante non era cambiato. Stessi capelli color cioccolato, pelle sempre ambrata, e occhi di un incredibile verde smeraldo con sfumature azzurre. Era rimasto lo stesso, solo diventato più carino. Quando suonò la campanella della ricreazione Levi si mise a pulire gli occhiali col panno apposito, ma fu un momento di distrazione a farlo cadere dalle scale. O quasi. Delle braccia forzute lo avevano afferrato in tempo, impedendogli di cadere. Alzando il volto, Levi vide quello preoccupato di Erwin, mentre lo sorreggeva per i fianchi.
"Stai bene?", domandò il messer sopracciglia.
"Sì, ora mettimi giù".
Il biondo obbedì. Solo in quel momento il professore si rese conto di essere giunto al piano terra.
"Ti porto a casa?", domandò il biondo, preoccupato.
"Sì...".
Il ristoratore intravide una lacrima solcare la guancia di Levi e fermò il suo viaggio con un dito.

Mentre Erwin preparava un tè caldo si fece raccontare gli ultimi eventi accaduti a scuola. Il più giovane parlava con voce ferma, sforzandosi nel non tremare.
"E così hai visto Eren", fu il  commento finale di Erwin.
"Sì, ma si comportava come se non mi conoscesse".
"È normale Levi. Quando c'è stata l'aggressione Hanji ha confermato che avrebbe avuto probabilmente una piccola amnesia, contando anche il fatto che da quel giorno sono passati otto anni".
Prese la tazza e si sedette accanto a Levi sul divano. Il più giovane afferrò il recipiente e bevve con voracità, fregandosene di quanto fosse terribilmente caldo e dolce il tè nero. Quando lo finì si ritrovò la lingua e l'esofago come bruciati, annaspando fortemente.
"Ma sei deficiente?!", esclamò Erwin.
"Sì Erwin lo sono. Oramai non so più che pensare".
Il biondo sospirò.
"Levi, sei in calore, approfitta di questa cosa per riposarti e pensare".
"A cosa".
"A come rivelarti ad Eren".
"Non è il momento di prendermi per il culo".
"Sto parlando seriamente. Se gli parli di cosa avete vissuto assieme potrete diventare amici e tornare a vedervi".
"Se certo. E tu credi a ciò che dici?".
"Al cento per cento".
Levi fiatò, mentre Erwin gli strominava i capelli setosi con una mano.
"Aggiornami sulle novità okay? Io adesso devo andare".
"Sì sì".
"Stammi bene Levi".
Sì alzò ed uscì di casa.
E quando fu sicuro che Levi fosse solo, poté piangere.

Mi chiamo Eren! ~Ereri~Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora