3 È un bambino

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Eren fu di parola. Per tutto il tempo in cui lui e Levi stettero al centro commerciale fece il bravo, senza fare i capricci o versi vari. Aveva solo un brutto difetto: non stava zitto neanche un minuto, peggio di un robot.
Signore fallo smettere, pensò Levi.
Gli comprò dei cambi completi e pigiami dalle fantasie più variopinte, facendo attenzione ai prezzi; lavorava sia come bidello che come peer tutor all'università, e quel poco che guadagnava era sufficiente per loro due. Dopo lo shopping andarono in un bar vicino a fare merenda: Eren ordinò una cioccolata calda, e Levi un tè caldo. Nel mentre che erano lì, il bambino parlò della sua famiglia; suo padre, Grisha Yager, era un noto medico della sua città e sua madre si chiamava Carla, una casalinga che ogni tanto andava a pulire a casa di vecchie persone in cambio di un misero stipendio. Levi ascoltò tutto senza commentare, sorridendo appena quando Eren si sporcava di cioccolato. Doveva ammettere che non era un bambino tanto difficile da gestire; un po' scalmanato e chiacchierone, ma per nulla noioso. Subito dopo aver pagato andarono al parco giochi, e nel mentre che Eren faceva avanti e indietro tra scivoli e altalene, Levi cercò su Internet notizie di persone scomparse o se qualcuno aveva denunciato la sparizione di un bambino che corrispondesse ad Eren.
Niente di niente.
Allora cercò il nome di Grisha Yager; era un medico, quello sì, ma sul suo conto si sapeva solo che era sposato con una certa Carla. Di Eren neanche l'ombra. Levi non seppe che fare: voleva adottarlo, ma il suo timore era che un giorno avrebbe risentito della separazione con la famiglia.
C'era solo una persona che lo avrebbe potuto aiutare.

"Ciao nano!", urlò Hanji dall'altra parte del telefono.
"Non cominciare quattrocchi. Ho bisogno di un parere".
"Parli di Eren?".
"Come lo sai?".
"Me ne ha parlato Erwin. Da quando ti interessi dei bambini?".
"Non posso farne altrimenti. Eren ha subìto violenze e percosse da parte del padre. Le ho viste le ferite".
"Si sa chi sono i genitori?".
"Sì, ma non hanno mai denunciato la scomparsa".
"Allora che pensi di fare?".
"Farò domanda di adozione".
"Cosa?!".
Levi staccò il telefono dall'orecchio di colpo, massaggiandosi il lobo.
"Sei una deficente quattrocchi di merda".
"Ma un Omega non può adottare lo sai".
"Ti sembro un criminale ubriaco e fatto? Una cagna che si fa scopare dal primo Alfa in calore? Un senzatetto? No, bene, per cui posso adottare Eren".
"Beh, se sei una cagna io sono un alieno".
"Sono serio Hanji".
"Ciao Serio! Io sono Hanji Zoe!".
"Ma va a cagare".
"No al momento non ci devo andare. Tornando seri un attimo, sei veramente sicuro di voler adottare Eren? Lui che ne pensa?".
"È un bambino".
"Un bambino abbastanza intelligente da intendere e volere. Parlagli".
"E anche se fosse? Non lascerò che torni dalla sua famiglia".
"Ma perlomeno dalla madre".
"Non c'è nessuna denuncia lo vuoi capire?! Non lo vogliono punto e basta".
Si sentì solo un sospiro da parte di Hanji.
"Spero solo che tu non finisca nei casini. Lo sai che tengo a te".
"Lo so. Alla prossima".
"Alla prossima".
Levi mise giù.
"Perché sei arrabbiato?", domandò Eren, guardandolo con occhi curiosi.
"Eh? Ah no, non sono arrabbiato".
"Ti ho sentito urlare".
"Tranquillo non è niente di ché. Senti, ho una proposta da farti".
"Che proposta?", chiese Eren sedendosi di fianco a Levi.
"Ti piacerebbe vivere con me?".
"Come se fossi il mio papà?".
Il ventenne si bloccò appena.
"Un qualcosa di simile. Dato che il tuo papà ti ha fatto quelle botte, ho pensato di poterti adottare io".
"Ma la mamma non è cattiva".
Levi scese e si inginocchiò di fronte a lui, sospirando.
"Eren, ho controllato su Internet. I tuoi genitori non ti stanno cercando".
"Cioè...non mi vogliono più bene...?".
"Non lo so-".
Il bambino gli saltò addosso, circondandogli il collo con le braccia, piangendo sulla sua spalla. Levi si trovò impreparato a quel gesto, e sul momento non sapeva cosa fare. Poi, lentamente, strinse a sé il piccolo Eren, ricambiando l'abbraccio. Non gli importava se stava bagnando di lacrime la camicia, né di essere in un parco giochi. Non sapeva cosa dire o fare, se non accarezzare la testa di Eren e stringerlo più forte al petto.
"Voglio andare a casa...", disse Eren singhiozzando.
"Sì. Adesso andiamo".
Non lo fece scendere.
Lo tenne in braccio tutto il tempo.

Mi chiamo Eren! ~Ereri~Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora