19 Qual'è il mio legame con Levi Ackermann?

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"Eren? Come ti senti?".
Queste furono le prime parole che udì il ragazzo appena aprì gli occhi. Quando lo fece guardò il soffitto, nonché la prima cosa che guardò. Non venne accecato da alcuna luce, ma solo quella che illuminava la stanza, proveniente dai raggi del sole, fuori dalla finestra. Girò la testa a destra e vide suo padre, seduto su una sedia; portava i capelli lunghi legati con un codino e gli occhi erano nascosti da un grosso paio di occhiali tondi. Guardandosi, Eren comprese di trovarsi sul proprio letto.
"Sono a casa...?".
"Sì Eren. Non ti ricordi? Sei svenuto a scuola e poi tua madre è venuta a prenderti".
Il castano si mise seduto, con la testa che gli doleva leggermente. Chiuse di nuovo gli occhi e cercò di ricordare gli ultimi eventi; all'inizio non vide nulla, ma poi...
"Papà".
"Parliamo più tardi. Adesso hai bisogno di riposare".
"È importante".
"Non ti preoccupare. Ne parliamo a cena".
"Per favore".
L'uomo sospirò.
"Che devi dirmi?".
"Qual'è il mio legame con Levi Ackermann?".
Per un momento la pelle del volto di Grisha divenne pallida, con gli occhi quasi fuori dalle orbite.
"Figlio mio...il signor Ackermann è il tuo nuovo professore di matematica, mentre quello vecchio se ne è andato in pensione. Si vede proprio che hai bisogno di riposarti".
Eren si tastò le tasche dei pantaloni e fortunatamente trovò il giornale, lo aprì e lo porse al padre.
"Allora spiegami questa storia".
Grisha iniziò a leggere l'articolo in merito in maniera silenziosa, ma poi sospirò ed appoggiò il giornale sul pavimento, poi guardò il figlio negli occhi.
"Eren...c'è un motivo se non hai ricordi prima dei tuoi dieci anni".
"Cioè?".
"Nel settembre di otto anni fa, Levi Ackermann ti rapì per abusarti, fisicamente e sessualmente".
La carnagione del ragazzo divenne chiara come quella di un vampiro, e per un attimo ebbe un mancamento.
"A-abusarmi...? È...u-un Alfa?".
"Al cento per cento. Ti tenne in ostaggio fino a metà aprile; da quando eri stato portato via da noi io e tua madre avevamo chiamato tutti affinché potessero cercarti, ma senza successo. Poi, fortunatamente, grazie al telegiornale, abbiamo scoperto che ti trovavi all'ospedale a causa di un'aggressione, tutta colpa di quel figlio di puttana del tuo rapitore".
Eren era incredulo. Levi Ackermann...il cui volto e voce gli erano familiari, era un bastardo pervertito, un Alfa che si era approfittato di un bambino per realizzare i propri desideri lussuriosi e peccaminosi. Adesso tutto aveva finalmente un fottuto senso.
"E poi? Perché non andò in prigione?".
"Non avevi più sul corpo i segni degli abusi di cui eri vittima, e poi non hanno trovato le prove del tuo rapimento".
"E quel figlio di puttana è in libera circolazione?! Come se non avesse fatto niente?!".
"Sì".
Era così arrabbiato che Eren avrebbe voluto prendere un coltello e tornare a scuola per ammazzarlo, ma al momento si sentiva troppo debole anche solo per alzarsi.
"La pagherà cara!".
"Non ti preoccupare figliolo. Prima o poi riuscirai a vendicarti di tutto il male che ti procurò".
Eren annuì deciso ed appoggiò la schiena sul letto, addormentandosi subito.
Sognò.
O così credeva.

"Ecco a te Levi! Buon Natale e buon compleanno!", esclama un bambino, dai folti capelli castani e gli occhi verdi.
"Grazie Eren", gli risponde un giovane di forse vent'anni, dai capelli neri e gli occhi grigi.
Apre la scatola che il ragazzino gli aveva dato poco prima - piccola e avvolta dalla carta regalo - e guarda dentro. C'è un paio di guanti di lana nera, della taglia giusta per lui.
"Ti piacciono?".
"Certo Eren. Sono bellissimi".
Il bambino gli salta al collo e lo abbraccia, venendo ricambiato dal più grande.
"Ti è piaciuto il regalo Eren?".
"Sì! Erano le scarpe che volevo!".
"Mi fa piacere".
"Ti voglio bene".
"Anch'io scricciolo".
Sono veramente io?, pensa un Eren diciottenne, mentre osserva quella scena, così dolce e bella. Poi tutto cambia, sgretolandosi come un castello di sabbia: adesso il Eren bambino è su un letto d'ospedale, collegato a dei macchinari e stretto tra le braccia di Levi. Il più grande sta piangendo, tenendo gli occhi chiusi e i denti serrati; il suo pianto pare essere un mix tra dolore e rabbia, come se il giorno dopo non si sarebbero mai più visti.

Eren si svegliò di soprassalto.
Guardando fuori dalla finestra vide che il sole era potente su di lui, come in procinto a tramontare, e dalla sua posizione doveva essere tardo pomeriggio. Si sedette e si massaggiò la nuca. Tutto ciò che aveva sognato non aveva senso; com'era possibile che in quelle visioni andassero d'amore e d'accordo se aveva abusato di lui? Eppure non sembravano un'invenzione della mente, ma veri e propri ricordi. Le opzioni erano due: o erano semplicemente dei sogni privi di fondamenta e senso logico, o suo padre aveva omesso di dire qualcosa e sotto sotto c'era ben altro.
In ogni caso, adesso Eren aveva un vero motivo per parlare col professore. E per davvero.

Mi chiamo Eren! ~Ereri~Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora