Capitolo Bonus: Speciale 6k letture

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Angolo Autore:

Allora, grazie e grazie per questo mega traguardo (anche se questo speciale doveva essere fatto per le 5k visualizzazioni ma shhhh).
Comunque, per ringraziarvi, vi regalo questo capitolo bonus, ambientato pochi mesi dopo la separazione di Eren e Levi.
ATTENZIONE: NEL CAPITOLO È MOLTO ESPLICITO L'ARGOMENTO DELL'AUTOLESIONISMO E SONO PRESENTI SCENE VIOLENTE, PER CUI SE SIETE SENSIBILI NON LEGGETE
IO VI HO AVVISATI

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Hanji ed Erwin erano preoccupati.
Levi aveva smesso di frequentare l'Università dal giorno in cui i genitori di Eren se lo erano preso dall'ospedale in cui era stato ricoverato, e da allora l'amico non era più uscito di casa, né aveva dato ai suoi amici un colpo di telefono. Speravano solo che non avesse commesso idiozie.

Levi era seduto a gambe incrociate sul letto, incurvato su sé stesso con tra le mani un pigiamino di Eren e il telefono acceso mentre trasmetteva un'intera playlist dedicata a Tiziano Ferro. Era completamente nudo, fatta eccezione per i boxer che indossava, troppo accaldato per indossare altro.

Magari un giorno avremo un posto
Anche nascosto oppur distante,
Dalle tante astanterie...

No, tutte ma non questa...
Per dirti Ciao era la canzone preferita di Eren, e riascoltarla fu una pugnalata nel petto. Levi gridò con quanta voce aveva e si fece l'ennesimo taglio all'interno dell'avambraccio. Gli bastò premere leggermente con l'indice per recare un piccolo taglio sul polso, il più piccolo degli altri diciassette che si era già fatto, spartendoli tra le entrambe le braccia. Il sangue colava lentamente sulla pelle candida, facendolo gocciolare sulle lenzuola e sporcandole di conseguenza. Non ce la faceva più; Eren era stato l'unico motivo di felicità, la sua ancora di salvezza, e se ne era andato, lui e la sua felicità.

E non servirà più a niente la felicità
Più a niente anche la fantasia
Mi accontenterò del tempo andato

Levi si alzò dalla sua postazione e gettò nel cestino la lametta sporca di sangue, raggiungendo i pezzi di plastica che un tempo assieme alla piccola lama formavano la lametta da barba.

Soffierà nel vento una lacrima
Che tornerà da te
Per dirti ciao, ciao!

Aprì la finestra, venendo investito dal vento che gli entrò in casa, fresco ma che in quel momento pareva ghiacciato, seminudo com'era.

Mio piccolo ricordo in cui
Nascosi anni di felicità, ciao

Ammirò il cielo stellato, sprofondato nel cupo silenzio della notte. Levi non sentiva nulla; aveva il baratro a posto del cuore, e un milione di pensieri gli balenavano la testa. Che cosa avrebbe fatto? Sarebbe andato avanti? Si sarebbe tolto la vita? Ma poi, venne in mente un'idea, un piano abominevole ma per lui giusto: recuperare Eren.
"Lo salverò dalla sua famiglia! Ucciderò suo padre e chiunque tenterà di fermarmi morirà! Eren avrà solo me! Me!".
Oramai la pazzia lo aveva posseduto, e niente e nessuno poteva fermarlo. Grazie alle cartelle cliniche del bambino era riuscito a ricavare i dati principali dei suoi genitori, tra cui l'indirizzo di casa. Si vestì con abiti unicamente neri ed indossò una mascherina in tessuto che nascondeva metà volto, dal naso in giù. Prese una lunga mannaia ed uscì di casa, nascondendola sotto la giacca; andò alla fermata degli autobus e prese quello che si fermava più vicino alla casa della famiglia Jager. Pagò e fece per sedersi quando gli squillò il telefono. Era Hanji.
"Che vuoi quattrocchi?".
"Brutto nano del cazzo! Era ora che mi rispondessi Dio caro! Ero terrorizzata maledizione! Avevo paura tu ti fossi suicidato!".
"Ci ho provato, lo ammetto".
"Ti prego vieni a casa mia e parliamone...non ti puoi rintanare in casa per sempre!".
"Non sono in casa. Sono in pullman al momento".
"Dove stai andando? Dimmi dove stai andando!".
"Non a buttarmi sotto a un treno".
"E allora dove?".
"A riprendermi ciò che è mio di diritto".
"Levi non sei in te, torna a casa e parliamone".
"Ho parlato fin troppo".
Agganciò la telefonata e scese alla fermata scelta, ritrovandosi in un quartiere modesto. Seguì la strada principale fino a giungere a una piccola villetta, e con la torcia del telefono illuminò la cassetta delle lettere dove c'erano i nominativi dei proprietari.
"Grisha e Carla Yager...perfetto. È questa".
Entrò nel giardino e cominciò a camminare attorno all'abitazione in cerca di una finestra da cui poteva entrare. Fortunatamente ce ne era una aperta, appena sufficientemente grande da far passare uno come Levi. Saltò e con non poca difficoltà riuscì ad oltrepassare la finestrella, ritrovandosi in quella che sembrava essere una lavanderia sotterranea. Si nascose dietro a un grosso cesto, poiché aveva udito dei passi avvicinarsi: era Carla, che con una bacinella vuota si avviava verso la lavatrice. Levi era tentato di sguainare la mannaia e tagliarle la gola, ma una scintilla di ripensamento gli balenò in mente. Carla non gli aveva fatto niente, o meglio, non gli aveva mai parlato.
Per questa volta ti lascio vivere
Fu così che alla prima occasione che la donna gli diede le spalle la tramortí con un colpo secco della mano sulla vena principale del collo. Quando fu sicuro che fosse inoffensiva, uscì dalla lavanderia e la chiuse a chiave. Risalì le scale ed uscì dal seminterrato, ritrovandosi in cucina. Ora che la moglie non era più un problema, il suo obiettivo successivo sarebbe stato il marito. A passi felpati superò la cucina e, indeciso se andare in salotto o salire le scale per il piano superiore, optò per quest'ultimo, facendo attenzione a non fare troppo rumore. C'era solo un problema: quattro porte tutte quante chiuse, identiche tra loro. C'era un margine di errore fin troppo grande per lui, così dovette guardare attraverso il buco della serratura di ciascuno: nel primo intravedeva un letto matrimoniale, e comprese che si trattava della camera dei genitori. Ma quando si voltò per proseguire con le altre porte, una di queste si aprì ed uscì un bambino. Levi aveva sperato fosse Eren, ma quando la piccola figura si girò a guardarlo, comprese che in realtà era una lei. Doveva essere la sorella. Questa gridò spaventata, ma Levi fu veloce a tapparle la bocca con la mano e bloccarle i polsi, trattenendola a stento mentre questa si dimenava come un'indemoniata.
"Dov'è Eren?", domandò il giovane con voce profonda.
Purtroppo, quel piccolissimo grido che Mikasa aveva fatto precedentemente era stato sufficiente da far uscire Grisha, sull'attenti.
"Che cosa ci fai qui?!", gridò.
Levi non rispose e lasciando in malo modo la bambina sguainò la lunga mannaia e tentò di colpire il dottore, ma questo si scostò lateralmente evitando l'attacco. Grisha venne preso di sorpresa per cui non riuscì a controattaccare; Levi lo immobilizzò con la schiena sulla scrivania e fece per pugnalarlo. Il medico gli afferrò il polso e spinse a sua volta per evitare la lama nel petto. La rabbia e la furia cieca dello studente gli avevano donato la forza di spingere più in basso, conficcando la punta della mannaia nella carne. Godette come un porco ad udire le grida di Grisha, mentre questo si contorceva per liberarsi.
"Sì, sì agitati come una cimice schifosa. Ora morirai come il ratto che sei".
Ma purtroppo, un violento colpo sul polpaccio lo fece gridare, mollando la presa. Si girò, ed ebbe un tuffo al cuore; Eren era armato di una mazza da baseball troppo grande e pesante per lui, e in quel momento Levi ricordò il giorno in cui lo aveva salvato dal barbone che lo voleva violentare. La stessa rabbia in quegli occhi di smeraldo era presente anche in quel momento.
"Eren...".
Il bambino non lo ascoltò e tentò di colpirlo, ma a Levi bastò afferrargli l'arma in tempo per disarmarlo.
"Scappa Eren!", gridò Grisha.
Il ragazzino non se lo fece ripetere e fuggì via. Il giovane diede un colpo di mannaia sulla gamba del dottore in modo che non potesse seguirlo ed inseguì Eren, riuscendo a raggiungerlo nella sua cameretta. Con calma, Levi chiuse la porta a chiave e fece cadere a terra l'arma, avvicinandosi sempre di più al bambino. Questo aveva cominciato a lanciargli le prime cose che gli capitavano a tiro, ma erano perlopiù giocattoli, per cui al giovane non fu recato alcun danno. Quando fu a un niente da lui si mise alla sua altezza ed abbassò la mascherina, sorridendo dolcemente.
"Ciao Eren. Mi sei mancato molto lo sai?".
Eren non rispose, guardandolo piuttosto con uno sguardo tra il confuso e l'inorridito. Il momento venne interrotto dalla sirena della polizia che si faceva sempre più vicina.
Merda
Non voleva andarsene, non ora che aveva trovato il suo Eren, ma l'istinto di sopravvivenza ebbe la meglio; strinse a sé il bambino e gli baciò la tempia, affondandogli la testa nell'incavo del collo.
"Scusami".
Lo tramortí come aveva fatto con la madre e lo prese in braccio, poi uscì di casa attraverso la finestra della cucina, al pianterreno. Ora Eren era suo, finalmente suo! Nessuno glielo avrebbe portato via, nemmeno quel figlio di puttana del padre.
Ma quando gioì di vittoria, un colpo di fucile tuonò nell'aria, e l'ultimo ricordo di Levi fu un dardo sul collo.

La prima cosa che vide non appena riaprì gli occhi fu il volto di Hanji, affiancata da un Erwin alquanto scazzato.
"Brutto idiota suicida!", gridò la donna, abbracciando fortissima il giovane.
Questo all'inizio non lo notò, ma quando si rese conto di ciò si staccò dall'abbraccio.
"Dov'è Eren? Dov'è lui?".
"Dalla sua famiglia" gli rispose Erwin "e sei fortunato che nessuno ti abbia denunciato".
"Che cosa?! Perché lo avete fatto?! Lui doveva rimanere con me!".
"Levi!" insorse Hanji "Devi accettarlo! Eren non è di tua proprietà. Deve restare con la sua famiglia".
"Io sono la sua famiglia! Sono stato io a crescerlo fino ad ora, io l'ho salvato dal padre che lo picchiava, sono io quello c-che...c-che...".
Il groppo in gola gli stava impedendo di parlare, e le lacrime avevano cominciato a solcargli prepotentemente le guance. Hanji lo abbracciò, cullandolo dolcemente.
"Volevo...volevo Eren con me...".
"Sappiamo tutto Levi. Sappiamo anche che ti tagliavi".
"Avete per caso visto le ferite?".
"Sì, mentre ti portavamo a casa", disse Erwin.
"Scommetto che sei stato tu a spararmi".
"Esatto".
Levi sospirò.
"Levi, non puoi continuare a soffrire così" disse la donna "non puoi vivere nella sofferenza".
"E che devo fare quattrocchi?".
"Accettare il tutto, ed andare avanti".
"È più facile a dirsi che a farsi".
"Sei sopravvissuto a molte cose, puoi sopravvivere anche a questo".
Levi sospirò, e ricambiò l'abbraccio, chiudendo gli occhi.

Mi chiamo Eren! ~Ereri~Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora