5 Come il suo angelo custode

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Quarantadue gradi.
Nemmeno Levi, nel suo primo calore, aveva avuto una temperatura corporea così alta; effettivamente, la tempesta del giorno prima aveva messo al tappeto il povero Eren, che nemmeno il giubbotto avrebbe potuto evitargli una febbre così alta. Se prima rideva e giocava tutto il tempo, adesso rimaneva eternamente a letto, con forze appena sufficienti per scaricarsi e nutrirsi. Mangiava a malapena, e Levi non poteva fare altro se non lavarlo, aiutarlo nel mangiare e soministrargli le medicine necessarie per farlo stare bene. Grazie ai sopressori si sentiva molto meglio, per cui poteva prendersi cura di lui senza difficoltà. Vederlo bloccato a letto, vederlo sofferente e così debole gli stringeva il cuore; era così abituato a vederlo felice e scattante che gli sembrava strano quella situazione, come la cosa più sbagliata del mondo. Era la primissima volta che si preoccupava per qualcuno, ad eccetto dei suoi amici; era sempre stato un menefreghista senza cuore, un blocco di ghiaccio vivente. Eppure, con Eren era tutto differente: si sentiva in pace, e provava una serenità che non poteva essere paragonata nemmeno quando faceva le pulizie. Era da quando si conoscevano che dormivano in posti separati, ma dal momento in cui Eren si era ammalato, Levi preferiva dormire accanto a lui sul letto, a vegliarlo come un angelo custode, senza disturbarlo. In un modo alquanto sconosciuto, sembrava che la sua presenza rincuorasse la salute di Eren, e Levi non poteva fare altro se non ciò.
Per tutta la settimana venne da loro Hanji Zoe, grande amica del giovane - nonché dottoressa - che si impegnò nel andare a casa sua a prendersi cura di Eren. Quel venerdì mattina Levi tornò a casa trovandosi la tavola apparecchiata per una persona, con Hanji che metteva via delle tazze.
"Ciao quattrocchi".
"Ciao nano!" lo salutò lei con la sua solita allegria e senso dell'umorismo "Com'è andata la giornata?".
"Come al solito. Una merda".
"Levi! C'è un bambino qui. Usa un linguaggio più appropriato".
"Che cazzo me ne importa. Dov'è Eren?".
"È appena tornato a letto".
"Ha mangiato?".
"Gli ho preparato del latte caldo con dei biscotti. In compenso ha mangiato tutto".
"Ottimo. Come va la tua operazione conquistiamo il cuore del sergente Erwin?".
"Sei un deficiente lo sai? E comunque bene, ci stiamo frequentando regolarmente. Piuttosto dimmi" si fermò nel suo operato, sedendosi a tavola con lui "hai veramente deciso di adottare Eren?".
"Sì. Ho già preparato tutta la documentazione".
"E i genitori? Ancora niente?".
"No. Quegli idioti non si sono fatti sentire".
"Sono pur sempre i suoi genitori. Eren che ne pensa?".
"Riguardo all'adozione? È più che d'accordo".
"Ma se la sua famiglia lo rivolesse indietro? Non hai pensato a questa possibilità?".
"Cazzi loro. Eren è di mia proprietà adesso".
"Eren non è un oggetto".
"Lo so".
"Ho paura per te; i servizi sociali sono infami e basta anche una virgola di troppo perché tu non sia in regola. Devi stare attento".
"Lo sarò tranquilla".
"Le-vi...".
Il ventenne si girò di scatto. In piedi sull'ultimo gradino ci stava Eren, ancora un po' pallido e con gli occhi rossi. Aveva addosso un pigiama pesante e ai piedi pantofole troppo larghe per lui.
"Ciao Eren. Come ti senti?".
"Ho mal di testa...".
"Allora tornatene a letto".
"Ma volevo stare con te".
"Ere-".
Il bambino lo raggiunse e si arrampicò sul sulle gambe, facendosi piccolo piccolo sul suo grembo,  sedendosi con la guancia destra e il fianco poggiati sul suo petto.
"Voglio stare con te".
"Sì è visto", rispose il più grande, stringendolo più a sé per non farlo cadere.
Hanji sorrise intenerita alla vista di quella scena, con gli occhi a forma di cuore e mormorando un aaawww.
Si alzò in piedi.
"Io vado. Ci sentiamo più tardi Levi?".
"Sì. Ciao quattrocchi".
"Ciao nanetto da giardino".
Gli scompigliò i capelli con una mano ed accarezzò la guancia al piccolo, per poi andarsene definitivamente.
"Ti senti meglio Eren? A parte il mal di testa", domandò Levi.
"Sono tanto stanco...".
"Forza. Ti porto a letto".
"Resta con me, per favore".
La supplica gli uscì fuori come un sospiro mozzato. Guardò Levi dritto negli occhi, e il più grande si perse nei suoi smeraldi, grandi e semi lucidi, con piccole chiazze dorate e sfumature di verde più chiare e più scure. Era un colore indescrivibile, la perfetta rappresentazione di Eren: un verde particolare, acceso e inimitabile, unico nel suo genere.
Levi si incantò a guardare i suoi occhi, e sorrise dolcemente.
"Certo. Andiamo".

Mi chiamo Eren! ~Ereri~Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora