Il "bestia"

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Nathan rientrò dalla giornata lavorativa e andò a farsi il bagno.

Siccome faceva meno caldo che del giorno precedente e soffiava un poco di vento, preferì asciugarsi i capelli con la ventola-d'aria-calda. La caricò della polvere di fata e cercò di sistemarsi in fretta, desideroso di mangiare prima che il tramonto terminasse.

Una volta finito di pettinarsi, rimase qualche istante a osservarsi allo specchio. Nonostante avesse già sviluppato un fisico medio-alto, il viso recava ancora i tratti delicati e morbidi da bambino, sebbene pian piano stessero scemando. I capelli erano lisci e lunghi fino alle spalle, con due ciuffi laterali che gli sfioravano le guance, mentre una lunga frangetta gli ricadeva fin sulle sopracciglia.

Pochi anni prima era stato spesso scambiato per una bambina a causa dell'acconciatura, ma ormai il fisico stava portando in risalto un po' di virilità.

Si diresse a petto nudo in cucina, dove tagliò del pane per sé e un pezzo più piccolo per il ratto, aggrappato alla sua spalla. Aggiunse qualche strato di polenta del giorno prima e incastrò tutto in bocca. Con la misera ma appetibile cena tra i denti, s'infilò la maglietta cercando per gioco di soffocare il suo amico, il quale squittì risentito mentre sgusciava all'aria aperta.

Nathan uscì all'esterno, dove aveva lasciato Cassius libero di brucare l'erba alta attorno alla casa.

Il signor Mowbray gli aveva offerto di mantenere incantate le lame-da-giardino – essendo un incantodomestico funzionante grazie alla magia – ma Nathan aveva preferito lasciare il compito di falciatura al cavallo. Almeno talune sere poteva risparmiare il foraggio.

Ormai Cassius gli era così leale che non sarebbe mai scappato, perciò lo lasciava libero di vagare attorno alla casa e alla fattoria. Starsene per la maggior parte della giornata rinchiuso in una stalla doveva essere noioso.

Il cavallo trotterellò verso di lui. Scosse la testa come ad annuire e strusciò il muso contro il giovane.

Lui gli diede qualche carezza, dopodiché lo condusse alla stalla, chiudendolo nell'unico box tenuto bene.

Si concesse qualche altro attimo in sua compagnia, divertito di vedere il ratto zampettare e balzare allegramente sul dorso di Cassius, il quale per replica cercava di disarcionarlo scrollandosi come un cane.

Alla fine Nathan dovette salutarlo e rientrò in casa, per andare a sedersi di fronte al tester.

Nell'attesa dell'ora giusta, ripensò all'offerta dei signori Mowbray di aiutarlo con le pulizie, ed esplorò con gli occhi gli interni della casa.

Era loro grato per aver riattivato gli incantodomestici fuori uso. Dopo che i genitori di Nathan erano morti, le magie che i due poveretti vi avevano applicato si erano dissolte. Il ragazzo avrebbe dovuto spendere una quantità di denaro molto grande affinché un incantatore-casalingo vi riaccendesse la magia, ma per fortuna il suo padrino e la sua madrina se la cavavano bene negli incantesimi domestici.

Lo avrebbero persino accolto in casa come un figlio, se Nathan non avesse insistito a rimanere da solo, tra le amate mura in cui aveva vissuto felicemente con la mamma e il papà.

Purtroppo aveva dovuto vendere tutti gli animali della fattoria – escluso Cassius – chiudendo inoltre l'attività di cura ai cavalli; aveva anche lasciato morire il campo agricolo e permesso alla casa di cadere vittima della muffa che stava sempre più usurando il legno...

Insomma, con la vendita degli animali aveva ricavato non poco denaro, però lo aveva usato modicamente: lo aveva sfruttato soprattutto per il cibo, qualche volta anche trattandosi bene, ma comunque senza mai strafare.

Certo il lavoro da messaggero – una delle figure che non solo consegnavano lettere, ma che servivano la società anche ricercando possibili messaggi minacciosi – avrebbe potuto procurargli un salario maggiore, ma re Kayne offriva veramente poco denaro, praticamente un nonnulla.

In ogni caso, non si preoccupava troppo della casa: lo strato di polvere in eccesso non lo infastidiva, ci avrebbe pensato forse all'ultimo momento, quando il primo pezzo di legno si fosse staccato dal soffitto.

E poi, se la casa appariva così decadente, gli stranieri avrebbero pensato che fosse abbandonata. In questo modo l'assassino dei suoi genitori non avrebbe avuto motivo di tornare, anche se Nathan dubitava di essere stato un suo bersaglio.

Appena il segna-ore indicò il momento giusto, allungò il dito a toccare l'oggetto colorato, che aumentò l'intensità della luce.

Strizzò gli occhi, ma si costrinse a resistere e a sbattere il meno possibile le palpebre.

Voleva i poteri. Voleva praticare la magia.

Lo desiderò con tutto il suo cuore, impose al suo corpo di sprigionarli, nonostante non sapesse davvero come riuscirci...

Se la magia si fosse attivata in lui, Nathan sarebbe finalmente stato capace di migliorare la sua vita. Avrebbe potuto consegnare la posta molto più in fretta, volando come era stato capace il signor Harmon; avrebbe potuto aggiustare la sua casa fatiscente, sgromarla dal lercio; avrebbe potuto comprare molti più mobili, persino una lastra-della-visione, e addirittura uno specchietto-di-comunicazione; avrebbe potuto far ingrassare sia il suo cavallo che il suo amico ratto, avrebbero avuto tutto il cibo che desideravano, un'abitazione migliore, e tanti soldi per poter sopravvivere in futuro; Nathan sarebbe potuto partire per viaggi spettacolari in compagnia dei suoi due amici, e magari un giorno avrebbe indossato abiti così belli da ottenere la stima di tutti i ricconi in città, e sarebbe stato capace di combattere orchi e manticore con tanta audacia da far cadere Shirley Lucas ai suoi piedi! E se non lei, qualsiasi altra fanciulla!

Finché però il suo sangue non attivava le cellule magiche, tali sogni rimanevano quel che erano: sogni, utopie, chimere.

Sessanta secondi dopo, la luce si spense. Il tester smise di sfrigolare. I colori lo avevano abbandonato, lasciandolo un insignificante ovale verticale in metallo opaco.

Nathan rimase immobile, agghiacciato. Il tester avrebbe dovuto continuare a risplendere. Non aveva brillato più del solito, e se anche lo avesse fatto – segnando così che il ragazzo avrebbe potuto cominciare a usare la magia – l'oggetto non si sarebbe spento, avrebbe seguitato a splendere finché Nathan non fosse morto...

Eppure Nathan era vivo e vegeto, sebbene al momento non fosse capace di respirare...

Molto lentamente, come una vipera che subentra silenziosa in una calda abitazione, pronta a far vittime gli incauti abitanti, la consapevolezza di quanto stava accadendo strisciò nel suo animo, fino ad azzannargli il cuore in una gelida morsa di terrore...

Lui, Nathan Seller, era un "bestia". Il tester avrebbe avvertito i soldati affinché lo trovassero. Sarebbe stato deportato sull'Isola della Purga, dove sarebbe morto.

Nathan non aveva la magia nel sangue. Era un "bestia", un parassita, e doveva essere eliminato.

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