Capitolo 26: "Quella frase speciale per te"

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«Fanculo Ale! Fanculo. Quando farai uno sforzo per capire qualcosa con il cuore e non sempre con la testa?»

Un fruscio ai piedi del letto:

«Lo faccio spesso, quando ci sei tu di mezzo, forse non lo puoi vedere ma è così.
L'ho fatto quando ti ho accompagnata al concerto di nascosto, quando ti ho dato i primi passaggi in motorino, quando hai imparato a pattinare, quando hai dormito avvinghiata a me per paura del temporale... era il cuore che comandava, sempre... piccolina»

«No. Era il brivido del rischio»

«E quando ti ho aiutata con lo studio? O quando ti ho evitato terapie da protocollo non molto simpatiche, o quando ti ho infilato quell'ago in vena per la chemio?!?»

«La tua cavolo di specializzazione!»

«Quella non nominarla è diventata un incubo anche per me da quando ho accettato la tua proposta. Ma devi credermi tutte le cose che ho fatto le ho fatte per te, per il tuo bene, perché a te tengo ragazzina»

«Non è vero, ti ho chiesto due giorni, due dannatissimi giorni e hai rifiutato»

«La tua salute viene prima della festa di compleanno o di fine anno e di quello che potrebbe succedere sopra dei sedili stesi in una macchina appartata. Come fai a non capirlo?»

«E anche se fosse? Non voglio morire vergine voglio aver vissuto e sperimentato l'amore almeno una volta, e invece ogni volta che entro in quel cavolo di ospedale le cose vanno sempre peggio!»

«Devi stringere i denti, questo è un momento difficile, ne hai passati di peggiori, e ce ne saranno ancora, ma ora mi sento di dirti solo una cosa, quella frase speciale per te, come speciale è stata chi te l'ha dedicata: Resta coraggiosa. Resta dolce. Testa alta, cuore in mano!»

Mi sollevo dal letto, ormai parlo a singhiozzi, mentre cerco di fermare il pianto:

«Non vale... quella frase... mamma!»

«Piccolina, se piangere ti può aiutare a star meglio, a sfogarti e a capire cosa è giusto, allora fallo, io sono qui!»

Dice avvinghiandomi in un abbraccio protettivo.

«Ale... scusami... io... non volevo essere egoista è solo che lo immaginavo diverso...mi sento annaspare... non capisco!»

«Affronta una situazione per volta ok? Sforzati di dare priorità alle cose che la meritano»

«O...ok»

«Adesso vai a farti una doccia, vedrai che starai meglio dopo»

Faccio ciò che mi ha consigliato, ad un tratto la saponetta sguscia a terra, quando mi chino per prenderla mi accorgo che qualcosa non va: l'acqua scende a rilento, lo scarico della doccia sembra intasato, osservo il tappo di sicurezza e una spiacevole sensazione si impossessa di me: una quantità spropositata di capelli è incastrata... capelli lunghi... capelli castani... i miei capelli.
Mi faccio coraggio tolgo il groviglio dal tappo, l'acqua torna a scorrere, mentre io resto lì incredula, immobile, inerme.

Una volta vestita chiedo a Marta di raggiungermi. Non esita nel farlo:

«Sophì che c'è?»

Allungo le mani tremanti e le mostro il nodo di capelli che ho lasciato in un angolo della doccia. Vedo la sua espressione mutare velocemente, anche lei ha capito cosa sta succedendo:

«Sophì, non si nota, non si vede nulla, guarda tu stessa»

Dice tenendomi lo specchio e mostrandomi la lunghezza e la corposità  dei miei capelli.

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