32.5 Il sogno

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Ebbi l'assoluta certezza di trovarmi in un sogno proprio nel momento in cui la scena si palesò davanti ai miei occhi

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Ebbi l'assoluta certezza di trovarmi in un sogno proprio nel momento in cui la scena si palesò davanti ai miei occhi. Non capitava spesso; di solito mi ci voleva un po' prima di rendermene conto.

Come lo sapevo? Be', era estremamente difficile dimenticarmi di essermi addormentata tra le braccia di Percy. Ancora sentivo il suo profumo, quella dolce brezza marina capace di irretire i miei sensi. E comunque ero certa che ci eravamo assopiti in una camera del Plaza, non nella mia cabina al Campo.

Ero seduta sul mio materasso, girata verso la finestra aperta. Il cielo era limpido, tempestato da milioni di stelle luminose; la luna era piena e alta. Entrava una brezza tiepida e piacevole che mi accarezzava gentilmente la pelle.

Non so che cosa stavo facendo, messa in quella posizione. Avevo solo una certezza: non potevo girarmi, o sarebbe successo qualcosa di orribile. Non sapevo dire se a me o a qualcun altro.

«Io non appartengo a questo posto» disse d'improvviso una voce maschile.

Trasalii violentemente, ma non mi arrischiai a girarmi. Non era una voce conosciuta, quella, ma mi stava dando una strana sensazione. Una sensazione che mi ero abituata a provare nei sogni: familiarità.

«Mi manca qualcosa»

D'improvviso mi venne un gran mal di testa. Strizzai gli occhi: sembrava che qualcuno mi stesse prendendo a martellate il cervello dall'interno. Che cosa stava succedendo?

«Ma tu...»

Il pianto del bambino che mi tormentava da un po' nei miei sogni si ripresentò, peggiorando la mia emicrania. Mi presi la testa tra le mani e strizzai di nuovo gli occhi, lasciandomi sfuggire un gemito. «Basta...» implorai.

«Tu sei qui»

Appoggiai la fronte sul davanzale. Gli occhi mi si riempirono di lacrime per il dolore; il bambino prese a piangere più forte. «Basta, ti prego...»

«Tu sei come me»

«B-basta...»

«Tu sei appartenenza. Sei famiglia»

«BASTA!»


Il sogno cambiò d'improvviso.

Mi ritrovai seduta in mezzo alla radura dove il consiglio dei Satiri Anziani era solito riunirsi. Il mal di testa era completamente sparito. Era giorno, e i raggi solari quasi mi bruciavano la pelle da tanto che erano roventi.

Tra le mani tenevo una foto. Guardandola, qualcosa mi si lacerò dentro.

Raffigurava tre semidei: la più piccola aveva sei anni, lunghi boccoli corvini e grandi occhi blu. Era seduta sulle gambe di un altro semidio adolescente, che la stringeva a sé con affetto. I capelli biondi erano tagliati decisamente male, ma lui sorrideva felice. In piedi dietro di loro c'era una ragazzina più o meno della sua età, a braccia conserte e con l'espressione seria. Assomigliava molto alla bambina.

Eravamo io, Luke e Talia. L'avevamo scattata con una Polaroid che lui aveva rubato quella mattina stessa.

Perché la tenevo in mano? L'avevo nascosta nel doppiofondo del comodino della mia cabina... ero riuscita a dimenticarmene...

«Perché anche io ho dimenticato»

Alzai lo sguardo e sobbalzai, strisciando all'indietro nell'erba. Evocai le Gemelle, ma niente mi comparve in mano. Mi guardai i polsi e mi resi conto che non portavo ne i braccialetti, ne l'anello che era Freccia.

Ero completamente disarmata, e davanti a me era comparso Luke.

Alzò le mani in alto per farmi vedere che era disarmato anche lui. «Non voglio farti del male, Alex» mormorò «guarda, non ho armi con me»

«Non ti avvicinare» lo avvertii «non avrò le Gemelle con me, ma sono capace di difendermi lo stesso»

Luke mi sorrise. Notai che non aveva la cicatrice sulla guancia, e che i suoi occhi non erano più dorati. Erano azzurri. «Lo so. Ti ho insegnato io, dopotutto» disse, e mi sorpresi di percepire una nota d'orgoglio nella sua voce. Non si avvicinò, come gli avevo detto: si accucciò per terra e si sedette a gambe incrociate. «Non ho molto tempo. Sono riuscito a sfuggirgli, ma non durerà a lungo. Dovrai svegliarti prima che lui si renda conto di cosa sto facendo»

Lo fissai. «E che cosa stai facendo?»

Un angolo della sua bocca si sollevò. «Sto ricordando» rispose. Fece un cenno verso la foto che tenevo ancora tra le mani.

La rabbia mi infiammò il petto. «E che cosa?» ringhiai «Ciò che hai distrutto?»

Luke esitò per un attimo. «Sì» ammise «la famiglia che ho distrutto»

Il respiro mi si fermò in gola. Lo osservai; sembrava diverso dal Luke che avevamo visto negli ultimi quattro anni. Sembrava più il Luke con cui ero cresciuta. Ma non potevo fidarmi. Non ci riuscivo. «Vuoi davvero farmi credere che ti dispiaccia?» ribattei dura «Vuoi davvero farmi credere che ti importi?»

Luke abbassò lo sguardo. Sembrava... non lo so, abbattuto. «Non mi credi, ovviamente» mormorò «non mi aspettavo qualcosa di diverso da te, Alex. Guarda che cosa ti ho fatto...»

«Hai cercato di ucciderci» gli ricordai con la voce che tremava «tutte e tre. Hai avvelenato l'albero di Talia. Hai costretto Annabeth a sostenere il peso del cielo. E ho perso il conto di tutte le volte che hai provato a togliermi di mezzo. Luke, avevi promesso-»

«Lo so» mi interruppe. Anche la sua voce tremava. «Non c'è bisogno che mi ricordi. Ho provato a portarvi dalla mia parte-»

Fu il mio turno di interromperlo. «Sei un folle!» sbottai «Distruggere l'Olimpo non è mai stata la soluzione! Come può esserlo? Hai permesso a Cr-»

«Non nominarlo!» gridò nel panico «Non qui! Non adesso!»

«La sostanza non cambia» gli dissi, fredda «gli hai permesso di manipolarti per i suoi scopi, e guarda dove ti ha portato. Ti sta usando. Quando il tuo corpo non gli servirà più morirai, Luke. E credo che tu l'abbia capito. Per questo sei andato da Annabeth e le hai chiesto di scappare insieme»

«Sì». Deglutì. «So di aver sbagliato, Alex. Per te non varrà molto, ma ti prometto che continuerò a provare»

«Provare a fare cosa?»

«A fare la cosa giusta»

«Credevo che pensassi che distruggere l'Olimpo lo fosse»

Luke mi guardò dritto in faccia. «Non lo è. Mi sbagliavo»

Lo fissai, e involontariamente gli occhi mi si riempirono di lacrime. Mi resi conto che inconsciamente avevo sperato a lungo che dicesse quelle parole. Che capisse che stava commettendo un errore, che capisse che aveva infranto la sua promessa, che capisse di aver così distrutto la nostra piccola famiglia. Ma non potevo fidarmi di lui. Non ci riuscivo. «Io non ti credo» affermai a fatica. Mi asciugai la lacrima scappata al mio controllo. «Non posso, Luke»

Luke aveva gli occhi lucidi. Deglutì di nuovo. «Lo so» ammise «io... io non posso pretendere che tu lo faccia. Non dopo quello che ti ho fatto, ma... Alex, voglio che tu sappia... non voglio più dimenticare. Proverò con tutte le mie forze a sistemare le cose. Ti chiedo solo... quando arriverà il momento... devi permettermi di rimediare»

«Luke, io-»

Il sole si oscurò di colpo. Luke balzò in piedi; sembrava nel panico. «Si è accorto. Non posso più... Alex, devi svegliarti!». Nuvole temporalesche si addensarono sopra le nostre teste. La luce venne meno, facendoci sprofondare nella penombra. «Ricordati che ti ho sempre voluto bene, e che qualunque cosa accada, per me sei una sorella. Ora vai. Devi andare! Svegliati!»

«Ma-»

«SVEGLIATI!»

[5] 𝙐𝙣𝙗𝙤𝙪𝙣𝙙 » Percy JacksonDove le storie prendono vita. Scoprilo ora