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Alla domanda di Jeffrey, Theo aveva preferito non rispondere, ma poi l'uomo aveva insistito, chiedendogli se preferisse essere riaccompagnato dai suoi amici. In quel momento, il giovane avrebbe dato qualsiasi cosa per impedirgli di continuare a parlare, infastidito dall'arrendevolezza che percepiva dal suo tono di voce. Era un po' come se Jeffrey si fosse rassegnato, a cosa, Theo non ne aveva idea, ma temeva che riguardasse lui e che avesse davvero poco a che fare con quanto era, invece, accaduto con la madre.

Aveva notato come il suo amante sembrasse anni luce distante da loro, troppo preso dai propri pensieri. Lo accarezzava con dolcezza, ma, allo stesso tempo, appariva distratto. In un attimo, con quel suo atteggiamento, era riuscito a calamitare tutta la sua attenzione, troppo preso dalla preoccupazione che gli suscitava quello strano umore di Jeffrey.

"Non esiste l'amore tra uomini, okay... ma magari uno può innamorarsi di un altro, anche se poi non può esserne ricambiato" si disse Theo, cercando di dare una spiegazione all'agitazione che gli riempiva il petto all'idea che Jeffrey potesse avere qualcosa che non andava.

La limousine si fermò e scesero  davanti un edificio che al giovane parve di gran lunga lontano rispetto quelli che ormai reputava i canoni di eleganza di Jeffrey: contava molti piani, ma il prospetto principale appariva triste e grigio, a eccezione della grande aiuola circolare posta all'entrata, e che celava la vista dell'ingresso. Era ampia, rialzata dal suolo, carica di cespugli di rose, margherite colorate, fiorellini spontanei, il tutto ben armonizzato sopra un manto d'erba. Le luci dei lampioni sfalzavano i colori, restituendo ombre lunghe e cupe... o forse era proprio Theo a sentirsi così "cupo" da proiettare il proprio malumore su tutto ciò che lo circondava.

Seguì Jeffrey a occhi bassi dentro la hall dell'albergo, rifiutandosi di guardarsi intorno. Indossava dei leggings, un corsetto e la giacca del completo del suo amante: non pensava di possedere la mise adeguata per un posto come quello in cui Jeffrey lo aveva portato, ma, come un bambino, si convinse che se non avesse visto nessuno, se non avesse incontrato lo sguardo di disappunto di nessuno, allora sarebbe potuto passare inosservato.

Persino in ascensore continuò a guardarsi i piedi, a fissarsi la punta delle scarpe da tennis che aveva indossato anche durante il resto della serata. Gli venne in mente di avere lasciato una parte dell'abito nella limousine di Jeffrey, e aggrottò la fronte, appuntandosi mentalmente di fargli presente che il vestito non era suo, che avrebbe dovuto restituirlo integro, se non voleva dilapidare tutta l'eredità di suo padre in un colpo solo, trovandosi costretto ad acquistare il vestito perché magari aveva riportato dei danni, ma attese che fossero chiusi nella camera, da soli, prima di dirglielo, dato che per tutto il tragitto fino a lì erano stati scortati da un addetto dell'albergo.

-Non ti preoccupare. Metti da parte anche il corsetto che poi lo do al mio assistente, domani mattina, ci penserà lui. Nel frattempo... magari ti do una mia camicia- gli propose Jeffrey, mentre si toglieva le scarpe, lasciandole vicino la porta d'ingresso. Fu allora che Theo si decise ad alzare lo sguardo e venne sopraffatto dalla bellezza del luogo in cui si trovava: giudicandolo dall'esterno aveva creduto che il posto non potesse riservare grandi sorprese, eppure dovette ricredersi.

Le pareti erano di colore chiaro e una soffice moquette di colore bordeaux rivestiva il pavimento, accompagnando i passi verso sinistra, dove si trovava una cucina, separata dal resto dell'ambiente da una porta in stile francese, di colore bianco; alcune basi delle cornici che racchiudevano i vetri erano state ampliate e utilizzate come mensole, e vi erano state collocate piantine e soprammobili. Attraverso la parete si potevano scorgere i profili dei pensili e del piano di lavoro e un tavolo di colore nero, circondato da quattro sedie, dalle rifiniture dorate.

CHOOSE MEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora