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Quando, finalmente, Jeffrey giunse davanti l'ingresso della clinica veterinaria dove lavorava il suo fratellastro, era già metà mattina. Aveva passato tutta la notte in aeroporto, anche se aveva prenotato un biglietto online mentre si dirigeva lì in taxi, ma non aveva trovato un posto se non nel volo previsto per le sette di quel mattino. Era rimasto imbottigliato nel traffico di L.A., per poi arrivare nei pressi del Topanga State Park con il cuore in gola, temendo di potere incontrare Keith o, peggio, Theo.

Non sapeva per quale motivo l'amico non gli avesse più dato notizie di sé durante i giorni precedenti, e durante la notte era arrivato alla conclusione che gli stesse nascondendo qualcosa - qualcosa che sicuramente riguardava Theo - e ciò gli impediva di pensare in modo lucido, dato che non aveva idea se dovesse sentirsi rincuorato da quell'ipotesi oppure raggirato da entrambi.

"Ho fiducia in Keith" si disse, mentre scendeva dalla limousine e chiedeva al suo autista di allontanarsi da lì, per evitare che qualcuno potesse venire catturato dalla presenza di un'auto di lusso in quel posto, così lontano dalla vita frenetica e mondana della Città degli Angeli, magari favorendo il propagarsi della notizia della sua presenza tra le campagne della zona.

Entrò nella clinica, sfoggiando un'espressione distrutta dalla stanchezza e il completo che aveva indossato anche il giorno prima, ormai saturo di pieghe che contribuivano a donargli un aspetto alquanto dismesso.

Jeffrey trasse un profondo respiro, premette due dita sulle palpebre degli occhi, percependoli bruciare, poi rivolse il proprio sguardo alla donna che sedeva dietro la scrivania nella saletta d'aspetto della clinica, leggendo sulla targhetta, che teneva appuntata sul risvolto della giacca, il suo nome: Milldred.

-Buongiorno. Avrei bisogno di incontrare il dottor Randolph. È già qui?- le domandò e la segretaria reclinò il capo da un lato, aggrottando la fronte.
-Ha un appuntamento?- gli chiese con un certo scetticismo e Jeffrey iniziò a sentirsi sempre più infastidito dall'apparente ostilità che leggeva nel volto della donna. "Forse perché non ti porti dietro una bestiola piena di zecche" pensò e cercò di costruirsi una scusa soddisfacente da propinarle nel minor tempo possibile, dato che non aveva intenzione di rivelarle chi era e perché si trovava lì, ma venne bruscamente interrotto dalla voce stupita di un uomo, che si limitò a esclamare il suo nome, attirando su di sé l'attenzione dei due e degli altri presenti.

-Evan- si limitò a rispondere Jeffrey, trovandosi a pochi passi di distanza dal fratellastro. Indossava un completo a maniche corte, azzurro, e una cuffietta dello stesso colore gli copriva il capo, lasciando intravedere alcune ciocche dei suoi capelli bruni, che sfuggivano dal copricapo. Evan aveva il tipico aspetto del ragazzo della porta accanto. Non vantava una bellezza fuori dal comune, ma aveva di certo quel fascino tipico di una persona della quale ci si poteva fidare, il tutto accentuato dalle mani grandi, le braccia muscolose e nerborute, le spalle ampie che sembravano suggerire a chiunque la facilità con cui ci si potesse affidare a lui, con la consapevolezza di sentirsi ed essere protetti.

Comprendeva il perché Keith fosse tanto affezionato e innamorato del suo fratellastro, ma Jeffrey sapeva che l'apparenza poteva risultare ingannevole e che Evan non era uno stinco di santo. Come ogni persona al mondo, custodiva dentro di sé i suoi angeli e demoni, non era perfetto, e quello, invece, era esattamente ciò che sempre aveva affascinato lui.

-Posso parlarti?- gli domandò Jeffrey ed Evan annuì, anche se, in verità, non aveva granché voglia di perdere tempo con lui.
-Milldred, Tobias è arrivato?-
-Sì, si sta cambiando-
-Bene- disse Evan e annuì, per poi rivolgersi al fratellastro. -Finisco il turno tra un quarto d'ora, ho ancora una visita prima del cambio. Puoi aspettare?- gli chiese e Jeffrey gli assicurò che lo avrebbe atteso fuori dalla clinica.

CHOOSE MEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora