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𝗽𝗼𝘃 𝗷𝘂𝗻𝗴𝗸𝗼𝗼𝗸

Faccio un gran respiro prima di uscire definitivamente dal cancello del mio liceo. Stringo le mani alle bretelle dello zaino, facendo qualche passo in avanti, almeno per allontanarmi dalla massa di ragazzi eccitati di tornare a casa. Ho un sacco di pressione sulle spalle al solo pensiero di ripercorrere quella strada che si, frequento da anni per andare a casa mia, ma dopo quel che è successo mi sembra di non conoscerla più, come se le altre giornate fossero svanite dai miei ricordi ed ogni volta che poso i piedi su quell'asfalto riuscissi a pensare solo alla figura dentro l'auto. Odio sentirmi così.

Eppure è successo solo ieri.

L'unica cosa a distrarmi è la canzone che ho in testa da stamattina, capitata nella riproduzione casuale di spotify mentre ero sotto la doccia.

Guardo dritto davanti a me, abbassando di tanto in tanto lo sguardo sui miei piedi, un po' tremolanti. Incredibile come io mi senta debole, pensando a lui.

Stando a ieri mi sento abbastanza confuso, troppe emozioni in un solo giorno. Credo di non aver mai abbracciato così forte mia madre come ho fatto appena sono tornato a casa assieme a Namjoon, e l'ho vista rigida sul divano con i suoi occhioni preoccupati per me. Sapesse quanto lo ero io per lei.

Un suono di un clacson interrompe ogni mio pensiero, facendomi scattare in direzione opposta della strada. Chiudo gli occhi, cercando di calmarmi. Non voglio sapere chi sia, non voglio essere certo che lui sia tornato. Ma una voce profonda mi invita ad aprire gli occhi, abbassando il finestrino.

«Hey piccoletto, sali» mi invita, facendo un cenno con la testa. Spero per lui tiri immediatamente su il vetro, perché potrei ucciderlo in modi per niente veloci ed indolori. Gli tiro un intero temporale con lo sguardo, e lui sorride.

«Vuoi morire?» mi guardo attorno, e poi mi avvicino di poco. «Non entrerò nella tua stupida auto» incrocio le braccia, ma lui ne rimane impassibile. È una macchina davvero lussuosa, lo si capisce solo guardandola. «Mi hai spaventato, col cazzo» scuoto la testa appena lui volge lo sguardo in avanti.

Posa gli occhi sull'orologio che ha al polso. «Su, sto aspettando» mi guarda con aria di sfida. L'immagine delle mie labbra sulle sue mi si proietta in testa, ma la scaccio prima che mi faccia fare cazzate improvvise di cui mi pentirei.

«Ti ho detto che non vengo. Me ne vado» roteo gli occhi iniziando a camminare. Ma la sua auto inizia ad andare, raggiungendomi. «Che diavolo fai, mi pedoni adesso?» mi imbroncio. Non risponde, quindi torno a muovere le gambe, e come esse la macchina. «Che vuoi da me?» arrivo dritto al punto. Mi domando perché io non l'abbia fatto prima.

«Un pranzo, a casa mia. Adesso sali» il battito mi accelera, ma cerco di non farci caso. Perché la fa così semplice?

«Ho i piedi, posso benissimo andare a casa mia» parlo con sicurezza, anche se solo l'idea di essere lasciato solo di nuovo mi spaventa abbastanza.

«Mmh» sembra pensarci, guardandosi le mani stese sul volante. «Anche io ho una bocca. La stessa che hai baciato e che potrebbe raccontare proprio di quel bacio alla mia straordinaria colleg-»

«E va bene!» sbotto, fermandolo. «Ma sta zitto» Smette di parlare e sorride appena, indicandomi con gli occhi di salire. «Io ti ammazzo» sussurro mentre raggiungo l'altro lato della macchina.

Odioso.

Salgo, allacciandomi la cintura ed incrociando le braccia, lui mi guarda.

«Di' a tua madre che non tornerai a casa» mi ordina, mettendo in moto.

«Non sei il mio capo» guardo dall'altra parte. Anche la sua auto ha il suo odore.

«Ma sono il suo» mi risponde sfacciato, facendomi sbuffare. Che snob fastidioso. Prendo il telefono dalla tasca e compongo il numero della donna, neanche so cosa dirle.

Nᴏɪ Sɪᴀᴍᴏ Aʀᴛᴇ | ᴋ.ᴛʜ ᴊ.ᴊᴋDove le storie prendono vita. Scoprilo ora