23. Stronger bonds

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«Daren mi ucciderà, per essermi infiltrato al vostro appuntamento. Non potevi portarci qualcun altro? Che so, Mike ad esempio: Daren lo avrebbe ammazzato di botte e così non avrebbe più dato fastidio a nessuno». Si stringe tra le spalle prima di riprendere fiato e continuare il suo soliloquio: «Perché mi sono convinto ad accompagnarti?» chiede, più a se stesso che a me.

Sbuffo un paio di volte e quasi quasi comincio a chiedermi anch'io da dove ne sia venuta fuori, l'idea di farmi accompagnare da lui.
«Perché mi vuoi bene, Daniel, ma anche perché sono una persona stupenda e perché io ci sono sempre per te, quindi devi aiutarmi ad uscire da questa situazione scomoda. Non farmelo ripetere ancora, ti prego». Scandisco bene ogni parola prima di puntare un dito in direzione del suo volto.

Lui sgrana gli occhi, sbatte le palpebre un paio di volte e soffoca a stento una risata: «Ehm, signorina Smith, questa ha tutta l'aria di essere un ricatto. Mi sbaglio forse?». Inarca curiosamente un sopracciglio e mi viene ancora da ridere mentre mi sbrigo a scuotere il capo per fargli capire che no, non si sbaglia neanche un po'.

«Sei un caso perso Tabitha. Ho anche io un cuore, non puoi usarmi per i tuoi comodi» mi fa notare, incrociando le braccia al petto. Lo ammetto, un po' mi sento in colpa per tutto questo.
«Ma io non ti sto usando,» e il mio tono divertito diventa un po' più serio: «non voglio davvero andare lì da sola». Abbasso lo sguardo, provando con tutta me stessa ad evitare il suo, indagatore. Improvvisamente anche lui ha smesso di scherzare e se avessi il coraggio di alzare gli occhi sul suo viso potrei sicuramente notare il cipiglio serio che adesso starà sicuramente caratterizzando i suoi lineamenti.

«Di cosa hai paura?». Rallenta a poco a poco il passo fino a fermarsi del tutto di fronte a me, impedendomi di continuare a camminare.

Vorrei saperlo anch'io.

«D-di niente, Daniel, io non ho paura».  Mi allontano da lui sorpassandolo, poi torno a guardare in basso e ricomincio a camminare in modo più spedito. Lui, dietro di me, sbuffa un paio di volte poi aggancia il suo polso al mio avambraccio e mi costringe a voltarmi di nuovo verso di lui.

«Non ci muoviamo di qui finché non mi dici cosa succede».

Sbuffo per l'ennesima volta da quando abbiamo cominciato a camminare in direzione del locale in cui lavoro e mi sforzo di abbozzare una smorfia che renda almeno l'idea di un sorriso: «Va tutto bene Dan. Sono solo molto stanca e oggi era il mio unico giorno libero. Avrei preferito essere a casa a dormire, sinceramente». Provo a sdrammatizzare la situazione ma Daniel mi conosce davvero troppo bene.

So che è combattuto. Una parte di lui gli consiglia di lasciar perdere questo discorso e di continuare a camminare mentre quella più irrazionale vorrebbe sapere di più.
Ma non c'è nulla da sapere.
Mi dispiace, Dan.

«Se non vuoi andare a quello stupido appuntamento non lo fare, Tabitha, non credo che Daren ti abbia obbligata ad accettare». Si ferma un istante, aspettandosi di ricevere tutta la mia attenzione: «In fondo, se quello che fai non ti fa stare bene, che senso ha proseguire per quella strada?»

Rimango in silenzio per qualche momento mentre le sue ultime parole riecheggiano nella mia mente.

Se quello che fai non ti fa stare bene, che senso ha proseguire per quella strada?

E poi la risposta arriva. Giunge al mio cuore imperturbabile, trasalendo poi fino alle corde vocali, nella mia gola.

«Io non ho mai fatto qualcosa che mi facesse davvero stare bene». La mia voce roca conferma ciò che sono riuscita a constatare solo dopo diciannove anni della mia vita.

Fino alle estremità della TerraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora