2. Memories

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<<Ehi nonna! Posso chiederti una cosa?>>
<<Ma certo, mia cara, tutto quello che vuoi>>
Ho paura, forse non dovevo farlo, ma è anche vero che il mondo deve sapere, deve conoscere la verità, quello che è successo e che continua ad accadere tutt'oggi in quei villaggi non può e non deve essere sepolto con loro.
<<Ascolta, io lo so che tu vorresti dimenticare tutto quello che ti è successo quando eri in Africa, tutte le cose brutte, tutte le cose che ti hanno fatto stare male, però io...io...>>
<<Tu vorresti sapere come era lì la vita...>> Mi interrompe lei <<Sì esatto! Non voglio che tu scenda nei dettagli perché so che questo potrebbe farti stare male, mi basta sapere qualcosa in più di quello che già so>>
<<e cos'è che già sai, tesoro?>>
<< Beh, io so che la maggior parte degli africani versa in uno stato di povertà più totale, che la maggior parte di loro ha a disposizione meno di un dollaro al giorno per sopravvivere, so che non hanno una casa, una casa nel vero senso della parola e che non hanno a disposizione delle medicine per potersi curare>> mentre ripeto queste parole il mio cuore si scioglie.

I miei pensieri si volgono verso Sion, verso di lei, verso la sua famiglia e mi chiedo se anche loro vengano da questa triste, tremenda situazione.
<<Quello che sai è esatto, figliola. Purtroppo questa è la condizione in cui si trovano milioni di persone, milioni di bambini, la maggior parte dei quali sono sotto i cinque anni e non arriveranno mai ad averne diciotto.>> Sento la sua voce spezzarsi, il suo sguardo è rivolto verso il basso perché non vuole che io veda il dolore che, sottoforma di lacrime, solca il suo viso ma, soprattutto, il suo cuore. Tuttavia anche le mie pupille, nere come la pece, si riempiono di lacrime nel sentire che milioni di bambini non arriveranno ad avere la mia età.

<<Io amo il mio popolo tesoro, non voglio che tu creda che io sia scappata di lì perché lo odiassi. Anche se non sono interamente africana, sono cresciuta lì, e ogni giorno, nonostante cerchi di non pensarci, il senso di colpa per non aver aiutato quella povera gente, mi invade e io non posso controllarlo!>> decine di lacrime cominciano a solcare la sua pelle scura, ma questa volta mi guarda fisso negli occhi, come se mi stesse chiedendo aiuto, come se mi stesse chiedendo di perdonarla.
<<No nonna! Non è colpa tua, ti prego non dire così!>> mi siedo accanto a lei e la stringo il più forte possibile, così che possa sentire il mio calore, il mio affetto.
<<Si invece, è tutta colpa mia, ho sbagliato tutto, sono scappata, li ho abbandonati al loro destino e non ho fatto niente per aiutarli.>> ricambia il mio abbraccio toccandomi il viso con le sue mani deboli, fioche, segnate indelebilmente dal tempo che passa e che non torna più.
<<No nonna, non è vero, non si può fare niente per cambiare le cose, nessuno può, non devi sentirti in colpa!>>
<<Ti sbagli cara, si può, niente è per sempre e neanche queste persone verseranno per sempre in questo stato di miseria se qualcuno sinceramente decide di aiutarli>>
<<Chi, nonna? Chi può cambiare una società perversa, volta a fare il male, alla quale importa solo del proprio profitto, del proprio guadagno?>>
<<Hai ragione, cara, non si può cambiare l'intera società, ma si può fare qualcosa per aiutarli a vivere una vita migliore, degna di essere chiamata tale.
Sai, migliaia di persone mandano degli aiuti economici ai bambini africani, in modo particolare, ma lo Stato se li mangia tutti prima che essi arrivino a destinazione.
È una cosa tremendamente crudele, losca e meschina.
Quei poveri bambini, insieme alle proprie famiglie, non sanno nemmeno che ci sia qualcuno che voglia aiutarli.
Sai, cara, vivevo anch'io in uno stato di totale miseria, ero costretta a lavorare ogni giorno un terreno arido, infertile che non mi dava neanche la benchè minima soddisfazione.
All'età di quattro o cinque anni ho avuto il tifo ed è solo per la grazia di Dio se sono ancora qui.
In quel periodo continuavo a rimanere vicino alle altre persone perché all'epoca non si sapeva che questa malattia fosse contagiosa.
Così l'ho mischiato ad altri bambini, che però non ce l'hanno fatta, se ne sono andati dopo qualche giorno, sempre e solo per colpa mia.
Ma io non lo sapevo ancora, nessuno lo sapeva.
Mia madre contrasse l'AIDS, ma non lo sapeva.
Alcuni bambini della mia età morivano per un semplice raffreddore.
Ma non era un semplice raffreddore, questo era ciò che credevano gli adulti, ma non era la verità.
Ho subito violenze di ogni tipo e non solo io ma anche altre bambine come me.
Pativamo la fame, la sete.
Il caldo afoso e secco era la cosa meno devastante.
Per poter bere dell'acqua neanche potabile, le donne camminavano tantissimo e molte volte era poca quella che riuscivano a trovare.>> Mentre parla continua a guardarmi negli occhi e io riesco a percepire tutto quello che sta provando in questo momento, anche se solo in parte.
Il suo cuore è spezzato, distrutto dal dolore, dall'amarezza, dalla delusione di non essere stata capace di aiutare quelle povere persone, di cui, in fondo, anche lei faceva parte.
<<Quando mi si è presentata l'occasione di fuggire in America, accettai senza pensarci due volte.
Promisi a tutto il villaggio che sarei tornata, che li avrei aiutati ad uscire da questa situazione, ma non lo feci.
Attraversai l'intero oceano, promettendo a un uomo, che neanche conoscevo, che una volta arrivata in America gli avrei pagato i soldi del viaggio.
Una volta giunta qui, non impiegai molto tempo a ripagare il mio debito.
Vivendo in America mi resi conto che fino a quel momento non avevo vissuto davvero, mi ero spaccata la schiena ogni giorno, rischiando continuamente di morire senza neanche conoscere l'esistenza di qualcosa di diverso.
Mi dimenticai completamente della promessa che avevo fatto agli africani.
Mi sono sforzata di dimenticare.
Sono stata un'egoista capisci? In quel momento ho pensato solo a me stessa e non a tutte quelle persone alle quali avevo promesso un riscatto.
Ed è di questo che mi pento tutti i giorni, di aver tradito il mio popolo.
So che non avrei potuto fare molto per loro, forse non sarei stata capace di portarli in America, ma almeno avrei potuto assicurargli un piatto di pasta a mezzogiorno.
Non ci sarebbe voluto molto, credimi, bastava solo un po' di buona volontà ma io l'avevo totalmente persa.
Poi mi sono sposata e ho avuto dei figli.
In quel periodo però è successo qualcosa che mi ha dato la forza di voltare pagina, di dimenticare gli orrori del passato, qualcosa che ha radicalmente cambiato la mia vita.
Una mia collega di lavoro, con la quale ero diventata molto intima, mi parlò di Gesù in un modo in cui non avevo mai sentito parlare.
Mi disse che Lui mi amava, più di qualsiasi altra persona al mondo, mi disse che Lui era disposto a perdonarmi da tutti gli errori che avevo commesso, perché io non meritavo nulla e allo stesso tempo quello che io facevo di buono non bastava per pagare il grande debito che avevo nei confronti di Dio. La cosa che più mi colpì fu il fatto che Dio, nel suo immenso amore, aveva mandato il Suo unico Figlio, Gesù, a morire sulla croce per me, per tutta l'umanità.
Lui, Dio, si era abbassato fino a me. Sì, proprio io ero l'oggetto del Suo amore, nonostante avessi abbandonato il mio popolo, nonostante nella vita non ne avessi combinata una buona.
Questo è l'amore che mi ha cambiato la vita, l'amore che mi ha fatto rendere conto di quanto fossi piccola, misera, inutile ma che soprattutto mi ha fatto capire che ero preziosa ai Suoi occhi, che lo sono tutt'ora e che tutta l'umanità lo è.>>

Fino alle estremità della TerraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora