14. Life is reality

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Il mio cuore implora disperatamente pietà, prova a trattenere emozioni troppo pesanti per un fisico esile come il suo.
Cerco di rimanere tranquilla, almeno apparentemente, ma in realtà l'ansia ha ormai preso il controllo delle mie azioni e dei miei pensieri.
Quando apro bocca però, mi stupisco di me stessa nel notare che la mia voce non mette in risalto quello che provo o almeno così sembra.
<<Allora? Cosa dovete dirci?>>
Riempio la mia bocca quasi di indignazione, come se le parole pronunciate con sicurezza da mamma e papà, fossero solo una goccia, all'apparenza esile, insignificante, ma tuttavia capace di far traboccare il vaso di dubbi che fino a pochi attimi fa riempiva la mia mente.
I due si guardano negli occhi per qualche istante, prima di continuare.
<<Ragazzi, prima di tutto desideriamo che sappiate che ce l'abbiamo messa tutta, che abbiamo fatto tutto il possibile per evitare la situazione in cui purtroppo adesso ci troviamo.>> È la mamma a parlare.
Mi soffermo per qualche istante sui suoi occhi, resi lucidi da un sottile velo di lacrime che cercano solo di uscire, di liberarsi di quel pesante macigno che ormai da troppo tempo grava sulle sue spalle.
<<Purtroppo però non c'è stato modo di evitare tutto questo.>>
Noto come i miei genitori riescano a stringersi l'uno all'altra attraverso il semplice tocco delle loro mani, un contatto che, in questo momento, riesce a trasmettere molto più di un abbraccio vero e proprio.

<<Dobbiamo andarcene, ragazzi.>>

La ascolto mentre ripete queste parole ancora una volta.
Ma no, non l'ha detto nuovamente.
La sua voce però, riecheggia nel mio cuore, nella mia testa, esattamente come un'eco, implorando la mia mente di mettere a fuoco, di rendersi conto di quella che è la verità.
Ed eccola lì, la osservo impietrita mentre si prende il gioco di me, mentre continua a ricordarmi che la vita non è un sogno ma semplicemente lei, la realtà.

<<Che significa che dobbiamo andarcene? E dove?>>

Mille anzi, molte di più sono le domande che in questo momento riempiono la mia mente, costringendomi ad attendere con impazienza una risposta da parte della mamma o forse del tempo, dato che sicuramente non potrò esporle tutte a lei.
<<Ragazzi ci dispiace davvero, soprattutto per te, Tabitha.
Abbiamo cercato di resistere il più possibile per farti terminare il tuo ultimo anno di liceo qui, con i tuoi amici, per non crearti problemi spostandoti in un'altra scuola, ma ormai non possiamo più attendere.
Dobbiamo andarcene e subito.>>
Papà cerca di spiegarsi servendosi di gesti, occhiate e movimenti che non saranno mai abbastanza chiari, che non riusciranno mai a farmi capire concretamente il perché di tutto questo.
Sposto la mia attenzione sulla mamma che continua a trattenere il pianto, cercando di mostrarsi forte, provando a non farsi rovinare dal senso di colpa per non avermi dato ascolto, quando le dicevo di parlarmi, di dirmi cosa c'era che non andava, di farsi aiutare.
E lei puntualmente farfugliava le solite parole, pronunciate così, tanto per farmi stare tranquilla, illudendomi che se la sarebbero cavata benissimo, che tutto si sarebbe risolto come le altre volte e che quindi non avevo motivo di preoccuparmi.

Solo parole.
Ecco cosa erano le sue.
Lei lo sapeva che le cose non sarebbero andate così come credeva anzi, come voleva fare credere a me.
La mamma era a conoscenza del fatto che se papà non avesse lavorato non avremmo potuto continuare a vivere in questa casa ormai troppo lussuosa per noi.
Ma ha continuato a fare finta di nulla, a dirci che andava tutto bene e che avrebbero sistemando le cose come sempre e soprattutto da soli.
Più ci ripenso più mi sento male.
Non saremmo in questo mare di guai se mi avessero dato ascolto o se magari mi avessero detto la verità prima che potessi accorgermene da sola, quando ormai era già troppo tardi.
Ma questo non è il tempo dei rimpianti, non è il momento di arrabbiarsi, rendendo la situazione ancora più estenuante di quanto già non lo sia.
<<Che cosa significa "subito"?>>
Non riesco a dire altro, anche se la mia mente e il mio cuore vorrebbero farlo.
<<Significa entro due settimane al massimo.>>
La voce scandita, quasi estraniata di mio padre mi toglie il respiro.
<<E dove...dove andremo?>>
Ormai comincio a vedere sfocato, decine di lacrime implorano di poter uscire dalle mie palpebre ma io continuo a trattenerle, continuo a cercare di essere forte, come ho già fatto in passato, riscontrando un misero fallimento.
<<Tabitha stai tranquilla, non andremo lontano, potrete rivedere i vostri amici quando vorrete, adesso necessitiamo solo di cambiare casa.
Andremo a vivere in città, lì sarà più semplice per me trovare un lavoro.>>

Fino alle estremità della TerraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora