XII. Apfel von Eden

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N E B E L

XII.

Apfel von Eden



Si sentiva come se un grosso mattone gli stesse schiacciando la faccia, tra ondate di dolore e intorpidimento. Doveva reggersi a Verena perché a stento riusciva a vedere dove metteva i piedi. Tornò a casa aggrappato alle sue spalle.

Per tutto il tragitto lei aveva continuato a ripetergli: «Andiamo in ospedale. Andiamo in ospedale.» La sua replica era stata ogni volta: «No.»

L'unico fazzoletto che aveva trovato in tasca era zuppo di sangue, adesso. Richard se l'era accartocciato tra naso e bocca per fermare l'emorragia, ma non era servito a molto.

Come minimo quel pezzo di merda mi ha rotto il setto nasale.

Ne aveva ingoiato anche una certa quantità, per via del dente, un premolare saltato via dall'arcata superiore. Aveva in bocca un sapore metallico che gli faceva venire da vomitare. Cercava di non sfiorarsi la gengiva scoperta con la lingua, ma era una tentazione troppo grande o addirittura un automatismo, accarezzarla con la punta e attendere che un nuovo flusso di dolore gli attraversasse tutte le ossa del volto.

«Andiamo in ospedale.»

«Andiamo a casa

La voce di Verena tremava, mentre la sua era diventata estremamente nasale, con le n e le m che si trascinavano gli altri suoni in una cadenza otturata e sofferente. Poiché le narici erano piene di sangue e muco, era costretto a respirare con la bocca.

Salì le scale del 124 in preda all'affanno.

Quando Verena aprì la porta dell'appartamento era stremato. Avrebbe voluto fiondarsi sul divano e perdere conoscenza in santa pace, ma vide che proprio lì, poco lontano da dove l'avevano lasciato prima di uscire, era seduto Sonne. La luce in salotto era ancora accesa e lui era ancora sveglio, come se non si fosse mai mosso per aspettarli o come se il tempo dentro la casa fosse rimasto sospeso fino al loro ritorno, per farli ripartire dal punto esatto in cui si erano separati.

Si alzò e si voltò verso di loro nel sentirli rientrare.

Per la prima volta, nel momento in cui Sonne lo vide e vide in che condizioni era, si lasciò sfuggire un'espressione sincera e naturale: un tipo di incredulità violenta, che gli fece trattenere il respiro e arrivò a deformargli i lineamenti, inclusa la cicatrice accanto all'occhio. Ma non fu solo quello, il decadere della sua imperturbabilità, a colpire Richard.

Il secondo successivo un fiotto denso di sangue gli precipitò da una narice.

Gli cadde sulle labbra, solcando morbidamente l'arco di Cupido affilato, e in parte sulla maglia. Sonne si portò subito le dita al naso. Spostò lo sguardo sui propri polpastrelli macchiati e poi di nuovo su Richard.

Si fissarono in silenzio per qualche istante.

Poi Richard scoppiò a ridere.

Fu un istinto che gli nacque dalla pancia, per nulla razionale. La sua risata riempì tutta la stanza, e non riuscì a fermarla neanche al sentire il naso e le guance tirargli ancora di più dal dolore, anzi, fu capace di soffocare ogni lamento.

Verena e Sonne lo osservarono basiti. Lei aveva anche l'aria un po' frustrata, come se stesse avendo a che fare con un bambino troppo capriccioso. Lo tirò per un polso e lo costrinse a sedersi sul divano mentre ancora rideva.

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